Una riflessione di Paolo Lucchi, Amministratore delegato di Federcoop Romagna, pubblicata anche sull'inserto Economia del Corriere Romagna
Com’è andata in realtà l’economia italiana nell’ultimo trimestre (da luglio a settembre)?
Il quesito è legittimo, perché è difficile raccapezzarsi tra le sensazioni di ripartenza (e quasi di euforia, non giustificata) dell’estate e la depressione (palesatasi anche nelle tensioni di piazza) di queste settimane.
Il dato preliminare Istat sul Pil italiano del terzo trimestre 2020, aiuta a capire. Infatti, si attesta al + 16,1% rispetto a quello precedente. Meglio della media Ue (+12,1%) e dietro solo a Francia (+18,2%) e Spagna (+16,7%).
Così il 2020 (considerati i primi due trimestri, resi tragici dalle conseguenze del Covid-19) si attesta su un -8,2%, riportando il Pil ai dati della prima metà del 2015. Un balzo all’indietro, che però non può far sottovalutare una certa vitalità dell’intera economia italiana, poichè secondo Istat a contribuire al rialzo del Pil sono stati “diffusamente tutti i comparti economici”, trainati sia dal mercato interno sia dall’export.
Siamo però già in novembre e ormai la ripresa degli indici si scontra con i dilemmi legati alla seconda ondata del virus, ai probabili nuovi lockdown e, più in generale, con una depressione (economica, sociale, personale) diffusissima e già “letta” dagli analisti, che prevedono un quarto trimestre in negativo e un Pil complessivo del 2020 che potrebbe restare nei paraggi della previsione formulata dal Mef (-9%). Quanto al 2021, nessuno si azzarda a dir nulla, naturalmente.
I dati dell’economia reale consentono però almeno una riflessione: la “vitalità” economica è stata prodotta dalla volontà delle imprese di non mollare. Ma anche da provvedimenti governativi che hanno cercato di proteggere famiglie e struttura produttiva.
Ma fino a quando potremmo permetterceli? E se, come è probabile, gli stessi non sono prorogabili a vita, non varrebbe la pena di selezionarli? Questi quesiti sono presenti nel dibattito che coinvolge la cooperazione romagnola, nella quale prevale la volontà di utilizzare il buonsenso, garantendo costantemente una lettura generale ad una situazione in continua evoluzione.
Per riuscirci, conviene far mente locale a ciò che è accaduto in questi mesi ai provvedimenti di sostegno (Decreti “Cura Italia” , “Rilancio” e “Agosto”) rivolti ai cittadini ed alle imprese.
Da marzo ad oggi (pre “Decreto Ristori”, sul quale ogni giudizio è più che prematuro), infatti, sono stati messi a disposizione 100 miliardi esatti di euro. Una cifra gigantesca, corrispondente più o meno a tre manovre annuali di bilancio “pre Covid”.
Che fine ha fatto questa mole enorme di denaro (che è indebitamento puro a carico di tutti, non dimentichiamolo)? Dei 100 miliardi, 76,8 sono stati effettivamente spesi: al 100% (o quasi) per sanità, trasporti, turismo, sport, istruzione ed università, banche, sicurezza, innovazione tecnologica, giustizia. Solo in parte per il lavoro, con i vari ammortizzatori previsti (24,5 miliardi su 34,8 messi a disposizione)e per il sostegno a famiglie ed imprese (21,8 miliardi su 34,9).
Cosa significa? Che mentre il “pubblico” (in accezione impropria, lo so bene) a tutti i suoi livelli ha utilizzato quasi totalmente le opportunità di sostegno disponibili, il mondo delle imprese non ci è riuscito, spesso a causa della farraginosità dei meccanismi di erogazione.
Ecco il problema di fondo: molte delle imprese hanno visto annunciare aiuti che però non sono (ancora?) arrivati.
Cosa andrà evitato nelle prossime settimane? Che le nuove risorse previste dal Governo, vengano garantite alle “isole felici”, se ve ne sono, mentre effettivamente andrebbero indirizzate soprattutto ai settori economici in maggiore difficoltà, che in questi mesi hanno spesso dovuto fare da soli.
Il mondo cooperativo romagnolo è pronto a sostenere una politica che moltiplichi le reti di sostegno, che si rivolga, attraverso le imprese che operano in quei settori, direttamente ai 3 milioni di anziani non autosufficienti, alle famiglie più deboli, al mondo dell’educazione e della scuola, dello spettacolo e della comunicazione, dei trasporti e della logistica, a quello agroalimentare che ha vissuto una stagione difficile non solo per la pandemia. Ma serve che accada “mirando” risorse e tempi di erogazione delle stesse.
Perché il nostro Paese deve decidere in quale direzione investire. Se non ri-cresce una dimensione comunitaria, che permetta l’inclusione di chi sta scivolando ai margini, ci condanneremo ad un futuro inaccettabile, per i valori che condividiamo.
Paolo Lucchi, Amministratore delegato di Federcoop Romagna
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