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Dante Alighieri ospite della famiglia Ordelaffi

Seconda tappa dell'itinerario sulle tracce di Dante a Forlì di Marco Viroli e Gabriele Zelli

Palazzo Gaddi – Foto Fabio Casadei

Tornando su corso Garibaldi e proseguendo in direzione del centro, passati i numerosi palazzi nobiliari tra i quali spicca Palazzo Gaddi, si giunge a Palazzo Albicini. Questo edificio dalla facciata austera e uniforme, sul finire del ‘400, inglobò le case che comprendevano “l’insula”, la “Caxa Granda” e il quartier generale degli Ordelaffi dove Dante fu ospite prima di Scarpetta (? – 1317), signore di Forlì, quindi in un secondo tempo di Cecco I Ordelaffi.
In seguito fu Giuseppe Albicini (1589 – 1668), nel XVII secolo, a riformare edifici e cappelle di famiglia, aggiornandone lo stile ai nuovi e rigorosi dettami della Controriforma.
Sulla facciata una lapide ricorda l’illustre passaggio di Dante e il soggiorno, alcuni secoli dopo, di Giosuè Carducci (1835 – 1907), altro grandissimo poeta italiano, che fu qui ospite dei marchesi Albicini:
QUI, DOVE LE CASE DEGLI ORDELAFFI / ACCOLSERO DANTE ALIGHIERI ORATORE / DEI FIORENTINI DI PARTE BIANCA PROSCRITTI, / A GIOSUÈ CARDUCCI DIEDERO GIORNATE / DI LIETO RIPOSO TRA L’AFFETTUOSA / DEVOZIONE DELLA FAMIGLIA ALBICINI / LA PRIMAVERA E IL PAESE DELLA / ROMAGNA A LUI TANTO CARA.

A pochi metri di distanza da Palazzo Albicini si trova il Duomo di Forlì. La fabbrica del Duomo o Chiesa di Santa Croce è così detta per via della reliquia del Sacro Legno che vi è conservata. Sorge sulle rovine di un’antica pieve, presumibilmente anteriore al XII secolo. L’attuale aspetto è frutto dell’imponente intervento di riedificazione che seguì l’abbattimento della chiesa romanico gotica, condotto su progetto dell’ingegnere Giulio Zambianchi (1817 – 1886), e portato a conclusione nel 1841.La facciata, in stile neoclassico, è caratterizzata da un portico di proporzioni monumentali che poggia su sei colonne di ordine corinzio con fusto in mattoni, mentre i capitelli e gli zoccoli sono in pietra bianca. Il grande complesso architettonico misura 67 metri di lunghezza e 57,5 metri di larghezza che diventano 27 nel catino dell’abside.

Cattedrale di santa Croce – foto Fabio Casadei

Sul fianco sinistro della chiesa è riconoscibile l’alta cupola della Cappella della Madonna del Fuoco, ricca di marmi e dipinti, realizzata tra il 1619 e il 1636 su progetto dell’architetto faentino Domenico Paganelli (1545 – 1624). Al centro della cappella troneggia la xilografia raffigurante la Vergine con il Bambino, risalente alla fine del XIV secolo. È la Madonna del Fuoco, protettrice di Forlì, che il 4 febbraio 1428 si salvò miracolosamente dall’incendio notturno di una scuola.

All’interno, in fondo alla navata sinistra, è collocata un’immagine dal valore storico tanto importante da poter essere considerata ai vertici del suo genere in Italia. Si tratta di uno splendido esemplare di Crocifisso ligneo, databile al XII secolo, recante un tradizionale riferimento all’area romanico-lombarda. Scrive lo storico dell’arte Giordano Viroli: «La maestosa figura del Cristo è rappresentata non come fosse appesa al legno della croce, ma piuttosto eretta in piedi… è il Christus Triumphans come lo prevedeva la più antica iconografia. Vivente con gli occhi spalancati, ha in capo una corona dorata, non consueta nei Crocifissi lignei. Fissato in una posa di assoluta simmetria frontale, questo Cristo non ha traccia di sangue intorno ai quattro chiodi che gli trafiggono le estremità, e neppure il restauro del 1986-87 ha rivelato tracce di ferita sul costato. Anche la croce, con estese tracce di decorazione policroma, si rivela originale e sostanzialmente integra… Nel 1827 il Crocifisso era stato appeso nella sagrestia grande, che prima della Seconda Guerra mondiale era un ambiente quattrocentesco».
Circumnavigando il Duomo sul suo lato sinistro, all’incirca dietro l’abside, dove via Santa Croce incontra via degli Orgogliosi, è posta una piccola iscrizione che riporta tre endecasillabi danteschi:
VIDI MESSER MARCHESE, CH’EBBE SPAZIO / GIÀ DI BERE A FORLÌ CON MEN SECCHEZZA, / E SÌ FU TAL, CHE NON SI SENTÌ SAZIO (Purgatorio, Canto XXIV, vv. 31-33).
(Vidi messer Marchese, che a Forlì poté bere con più abbondanza e fu tale che mai si saziò).
Nel Canto XXIV del Purgatorio il Poeta si trova fra i golosi della VI Cornice e qui scorge messer Marchese degli Orgogliosi, originario di Forlì, podestà di Faenza nel 1296, che morì nel 1316, godendo fama di grande bevitore.

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