Nella Giornata della Memoria non dimenticare quello che avvenne in città
Si deve prima a un saggio del 1991 di Paola Saiani, pubblicato sul numero del bollettino dell’Istituto Storico della Resistenza di Forlì-Cesena, allora presieduto da Ottorino Bartolini, e poi al lavoro di ricerca avviato dalla rivista “Una Città” il merito di aver riportato all’attenzione della città di Forlì e dell’Italia gli eccidi di ebrei in via Seganti avvenuti nel mese di settembre 1944, unitamente alle uccisioni di partigiani e antifascisti.
Da allora sono state molte le iniziative che annualmente vengono organizzate per ricordare quei drammatici giorni, a partire dalla realizzazione presso il Cimitero Monumentale di due attigui monumenti sepolcrali dove sono idealmente sepolte le vittime ebree e quelle italiane, iniziativa questa che ebbi la possibilità di seguire personalmente in qualità di assessore del Comune di Forlì. Oggi bisogna ribadire che occorre continuare a mantenere viva la memoria di quanto accadde per evitare che la “soluzione finale” messa in atto anche nella nostra città dalle SS tedesche comandate da Karl Schütz, con la complicità dei fascisti locali, cada nell’oblio. In questa direzione va la mia proposta per collocare le “pietre di inciampo” nei luoghi della città dove, dal 1938 al 1944, avvennero episodi di persecuzione razziale, o peggio, come nel caso delle uccisioni all’aeroporto.
In questo contesto non vanno dimenticate le famiglie ebree forlivesi, o i singoli ebrei cittadini di Forlì, che furono discriminati e in diversi casi catturati per essere poi inviati nei campi di concentramento approntati dalla Germania di Adolf Hitler, da dove, nella stragrande maggioranza dei casi, non fecero ritorno.
Va allora ricordata la famiglia di Nissim Matatia, che era molto ben integrata in città ed in contatto con importanti esponenti del regime fascista perché era titolare di un avviato negozio di pellicceria sito sotto il loggiato del palazzo Comunale. L’attività commerciale di Nissim e Leone Matatia, originari di Corfù e giunti in Italia nel 1920, veniva esercitata al numero 3 di piazza Saffi. Con il ricavato del lavoro Nissim Matatia acquistò una villetta a Riccione dove poter trascorrere le vacanze estive. Ad un certo momento si ritrovò come vicino di casa Benito Mussolini che con la propria famiglia, nel 1930, acquisì la villa adiacente, tanto che i componenti dei due nuclei familiari ebbero la possibilità di frequentarsi, in particolare i bambini. Dopo la promulgazione delle leggi razziali del 1938 i Matatia divennero automaticamente i “vicini scomodi”, come dal titolo del libro di Roberto Matatia, edito da Giuntina, dove si racconta la “storia di un ebreo di provincia, di sua moglie e dei suoi tre figli negli anni del fascismo”. Da quel momento la vita dei Matatia cambiò radicalmente, fino al un tragico epilogo: ci furono forti pressioni per la vendita della villa, i ragazzi espulsi dalle scuole, Leone Matatia fuggì in Svizzera, poi furono arrestati prima di Nissim e il figlio Roberto a Bologna (novembre ‘43), e poi la moglie Matilde Hakim e gli altri figli Beniamino e Camelia a Savignano sul Panaro, loro ultimo rifugio. Nissim e Roberto, furono trasferiti a Verona, poi a Milano, successivamente vennero portati ad Auschwitz con il convoglio del 6 dicembre 1943. Matilde, Camelia e Beniamino, detenuti prima a Forlì (ex Albergo Commercio), e poi a Milano, con il convoglio del 30 gennaio 1944. L’unico superstite fu Beniamino, il quale, tuttavia, morì poco dopo la liberazione del campo di Auschwitz per gli stenti patiti durante la prigionia.
Vale la pena ricordare anche Giorgio Ban e Geza Molnar. Giorgio Ban (1907), medico odontoiatra ungherese, si trasferì a Forlì nel 1936, dove aprì un gabinetto dentistico in via Lazzarini 9. Nei documenti pubblicati sul sito dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea si apprende che si convertì al cattolicesimo prima del 1938 e sposò la cittadina italiana Anna Maria Cicognani, di religione cattolica. Gli viene negata la discriminazione e nell’elenco che il Questore di Forlì trasmise in data 16 dicembre 1943 al Capo della Provincia sulle famiglie ebree presenti in citta è scritto che Giorgio Ban non era rintracciabile perché si era allontanato da qualche tempo per destinazione ignota, forse in Svizzera. In realtà la figlia Laura racconterà che si nascose a Forlimpopoli dall’anziana domestica, che a rischio della vita, lo nascose nel granaio della sua casa.Anche Geza Molnar, nato a Budapest nel 1892, un altro odontoiatra ungherese, ha esercitato la professione a Forlì dove venne ad abitare nel 1921. Cinque anni dopo si iscrisse al Partito Nazionale Fascista e sposò Annunziata Gamberini. Nel 1941 ottenne la discriminazione per diretto intervento della sezione forlivese del PNF; Molnar era stato infatti insignito della Croce di Cavaliere della Corona d’Italia per la sua attività di dentista prestata a Fiume. Nel dicembre 1943 Molnar risultava da tempo fuggito verso ignota destinazione.
Da ricordare, infine, i Saralvo, un’importante famiglia di ascendenza sefardita. I coniugi Davide Saralvo ed Eufrosina Senigaglia si trasferirono da Lugo a Cesena nel 1889. Il fratello di Davide, Giuseppe, giunse a Forlì nel 1891 e in seguito fu raggiunto dai nipoti Renzo e Gustavo.
Giuseppe Saralvo, coniugato con l’ebrea lughese Ada Samaja, aprì nel 1889 una rivendita all’ingrosso di stoffe per uomo in via delle Torri 7, mentre Renzo e Gustavo furono titolari dal 1919 al 1930 della “Ditta G.R Fratelli Saralvo”, ubicata in via Mazzini 5.
Renzo Saralvo, coniugato con l’ebrea Celeste Sonnino, gestiva anche la “Ditta Belladonna Astrologo – commercio di manifatture” aperta nel 1931 da Belladonna Astrologo (residente a Roma) e ubicata in Piazza Saffi 8.
Per sfuggire alla cattura Gustavo, dopo aver venduto tutto, si nascose in una clinica psichiatrica di Bologna. All’inizio del 1944, impossibilitato a continuare a pagare, si riunì alla famiglia sfollata a Marradi, dove venne arrestato in seguito ad una delazione. Interrogato dalle SS fu colpito da un attacco cardiaco e morì poco dopo. Renzo e Celeste Sonnino si nascosero inizialmente in montagna a casa di contadini, poi, finito il denaro, ripararono presso alcune formazioni partigiane fino alla liberazione.
L’elenco dei perseguitati non si esaurisce qui. Ci sarà modo per riprendere l’argomento in una prossima occasione.
Gabriele Zelli
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