Itinerari per il dopo pandemia. Quinta tappa
Il Duomo di Modigliana, ovvero l’antica Pieve di Santo Stefano
Itinerari per il dopo pandemia
Quinta tappa
Proseguendo questa rassegna sui luoghi di culto che in passato hanno avuto una grande rilevanza e che consiglio come meta per un’escursione da effettuare passata la pandemia causata dal Covid 19, non può mancare la cattedrale di Modigliana dalle origini molto antiche, tanto che il primo documento in cui se ne parla è una pergamena del 5 luglio 892. A questo proposito va segnalato che in un manoscritto ottocentesco, inedito, esistente presso la Biblioteca Saffi di Forlì, Sezione Piancastelli, in base alla trascrizione dello storico Enzo Staffa di Modigliana, che mi ha messo a disposizione, si legge: […] “Questa chiesa che si ricorda sempre consacrata a S. Stefano Papa e Martire, è molto insig(n)e per la sua antichità, trovandosi fondata sino dall’anno di nostra salute 410, da un Arcivescovo di Ravenna di cui non ci viene indicato il nome; ma per quello può rilevarsi dalla Cronologia di Girolamo Fabri doveva essere S. Esuberanzio per aver egli sostenuta la reggenza di quella Metropoli dall’anno 398 sino al 418 in cui morì. Di un sì alto tempo dalla sua Fondazione ne facea un tempo fede certa Lapide, che prima si vedeva locata in alto alla mano destra della porta maggiore d’essa Chiesa” […].
Nel saggio di Enzo Staffa “La Cripta del Duomo di Modigliana ed il suo “Gruppo del Compianto”, l’autore scrive che sulla pergamena dell’892 viene indicata “una cessione dell’Arcivescovo Domenico di appezzamenti coltivati nel territorio della Pieve di S. Stefano in Geminiano (Juviniano) ed altre ne seguono dello stesso tenore”.
Nel corso dei secoli la Pieve è stata senz’altro riedificata e ristrutturata varie volte a seguito di terremoti e incendi ed anche sottoposta a rimaneggiamenti, ampliamenti e modifiche dettate dalle esigenze dei fedeli. Tali interventi, in particolare la ricostruzione e l’ampliamento del secolo XVI, che Papa Giulio II (1143 – 1513), di passaggio a Modigliana, consacrò il 18 ottobre del 1506, fece scomparire definitivamente la Pieve romanica originale, di cui non rimane che un pilastro in mattoni e capitello in arenaria scolpito a greca, nel piccolo spazio dietro la Cappella del Santissimo, in testa alla navata di destra e la cripta molto rimaneggiata (Oratorio del Gesù morto).
Sulla presenza di Giulio II a Modigliana scrive Sanzio Bombardini in un testo del 1973: […] “Nel 1503, appena eletto, il fiero ed impulsivo Pontefice si dette l’obiettivo, di riportare sotto il potere temporale della Chiesa, sia i territori romagnoli, che dopo la caduta del duca Valentino erano stati occupati dalla Repubblica di Venezia, sia la città di Bologna dove i Bentivoglio esercitavano una vera e propria Signoria. Ottenuta per via diplomatica solo parte di quei territori, nel Concistoro del 17 agosto 1506, il Papa decise di guidare personalmente una spedizione per indurre la restituzione di quelli restanti. Giulio II si mosse il 26 agosto con tutto il Collegio Cardinalizio (eccetto vecchi e malati) ed attraversò Lazio, Umbria, Marche ed entrò in Romagna ai primi di ottobre. […] Volendo coinvolgere anche la Repubblica di Firenze, il 16 ottobre, in partenza da Forlì, il Papa decise improvvisamente di far proseguire l’esercito per Imola percorrendo la pianura mentre lui, con i Cardinali e pochi armati, si incamminò per il lembo romagnolo dello Stato di Firenze. Raggiunse Castrocaro, Dovadola e, attraverso il Monte Trebbio, scese a Modigliana dove trascorse la notte del 17 ottobre (nel palazzo Borghi n.d.r.). Niccolò Machiavelli, Segretario della Repubblica Fiorentina, colto naturalmente di sorpresa dalla repentina decisione del Papa, fu costretto ad allestire rapidamente un piccolo esercito da mettere a protezione del Papa per la prosecuzione del viaggio ed a predisporre la dovuta accoglienza all’inconsueto ed ingombrante ospite quando sarebbe giunto a Marradi[…]. Il Papa ripartì da Modigliana dopo aver consacrato l’antica Pieve di S. Stefano, da poco ricostruita”.
La trasformazione della Pieve da aula unica a Cattedrale a tre navate avvenne nel 1876, in quanto la chiesa, 26 anni prima, era stata eletta a cattedra vescovile della nuova Diocesi di Modigliana.
La Diocesi fu fondata con bolla “Ex quo licet” del Papa Pio IX, il 16 luglio 1850. Il primo Vescovo Melini prese possesso della sede il 4 maggio 1854.
Risale al XVII secolo l’edificazione del Santuario della Madonna del Cantone, costruito a ridosso dell’angolo dell’abside della pieve, che è di notevole interesse. Il primo tabernacolo ebbe forma di celletta, che poi ingrandita, diventerà il santuario ricordato dal cardinale Rossetti, vescovo di Faenza, nella sua visita del 1643. ll primo documento scritto che lo cita è del 1612, quando don Domenico Signani lasciò tutti i suoi averi alla Madonna del Cantone. La costruzione fu realizzata per proteggere l’immagine della Madonna affrescata su un muro, poi nel corso dei secoli fu arricchita di decorazioni e arredi. All’interno si possono ammirare le riproduzioni fotografiche su tela delle lunette di Silvestro Lega dipinte tra il 1858 e il 1863 – gli originali sono nella vicina residenza vescovile – rappresentanti le quattro calamità: la carestia, la guerra, la peste e il terremoto, dalle quali Modigliana fu protetta dalla Madonna.
È assolutamente da visitare l’Oratorio di Gesù Morto, ricavato dalla cripta dell’antica pieve. Attualmente è Sacrario dei Caduti in guerra e raccoglie tre tombe di vescovi diocesani.
All’interno dell’Oratorio si può ammirare il “Compianto su Cristo Morto” (foto Dervis Castellucci), gruppo di sette statue lignee, quattro in massello di tiglio e tre in pioppo, policrome, a grandezza d’uomo, venerato dai modiglianesi sin dalla sua collocazione nel 1549 nella cripta ad opera dell’antica Confraternita del SS. Sacramento, detta dei Battuti Bianchi.
In base agli studi di Massimo Ferretti, massima autorità italiana in fatto di Compianti, pubblicati nel volume “La scultura nel Quattrocento. Storia delle arti figurative a Faenza”, Edizioni Edit, 2011, quello di Modigliana sarebbe opera di bottega faentina di epoca quattrocentesca. Le statue in massello di tiglio sono state ricavate da un unico tronco e si presentano molto compatte ad eccezione della figura della Maddalena che ha le braccia aggiunte essendo aperte.
Da allora il gruppo ha subito ridipinture e tagli delle parti rovinate dall’umidità ed aggredite dai tarli, in media ogni cento anni, ma l’ottimo restauro, completato nel 2005, ha riportato alla luce i colori originali e tutta la drammaticità che le cupe ridipinture dei secoli, fino al diciannovesimo secolo, unitamente alla patina del tempo, avevano offuscato. Un’opera assolutamente da scoprire e valorizzare anche perché, di questo genere, è una delle più antiche di tutto il territorio regionale.
L’escursione a Modigliana può continuare perché il paese ha altri patrimoni architettonici e artistici di grande pregio, che si citano riportando brevi caratteristiche. A partire dalla Rocca dei Conti Guidi detta “Roccaccia”, che ha il nucleo più antico risalente al IX – X secolo, ed è identificabile nel basamento cubico in ciottoli (il quadrato) su cui svetta il mastio mediceo, mentre l’attuale conformazione è del XIV-XV secolo.
Poi la “Tribuna”, una caratteristica e singolare costruzione realizzata fra la fine del Quattrocento e il 1534 che si compone di due campanili e di un’edicola, eretta sopra un grande torrione circolare, che contiene la statua della Madonna, realizzata nel 1647 da Clemente Molli, lo stesso scultore che realizzò la Madonna del Fuoco di Forlì posta in piazza Duomo. Piazza Pretorio, uno dei luoghi medioevale più belli della Provincia di Forlì-Cesena, sul quale si affaccia, fra gli altri, il Palazzo Pretorio, in pietra a vista di tipo toscano trecentesco, sede del Podestà fin dal 1337 ora sede della Pinacoteca “Silvestro Lega”, dov’è presente un cospicuo patrimonio figurativo otto-novecentesco. Il Museo Civico “Don Giovanni Verità”, istituito nel 1932, ha sede nella casa dove visse don Verità (1807 – 1885), nota figura di patriota risorgimentale che contribuì a salvare Giuseppe Garibaldi e il Maggiore Leggero durante la storica fuga dei due in terra di Romagna.
Altri luoghi di interesse sono il Convento dei Cappuccini fondato nel 1561, di proprietà dell’Accademia degli Incamminati, e il Ponte di San Donato, realizzato a schiena d’asino nel XVIII secolo e formato da tre archi.
Come non citare poi la Chiesa di San Domenico, la cui facciata, rifatta nel 1932, non lascia individuare l’antica origine quattrocentesca dell’edificio. All’interno va segnalato nell’abside l’affresco della Madonna delle Grazie; dal restauro del 2019 è emersa una Vergine gotica dalle mani affusolate e dall’elegante vestito stretto in vita e lungo con decorazione in rilievo a pallini con velo azzurro, su un trono prima non visibile. “L’autore è anonimo”, scrive Sandro Bassi su ‘SettesereQui’, “ma andrà ricercato probabilmente fra i pittori toscani che negli ultimi decenni del ‘300 portavano anche sul versante romagnolo le novità di Firenze. Oltre al valore artistico l’immagine ne possiede uno profondamente umano poiché di fronte a questa immagine i condannati a morte destinati al Monte delle Forche ricevevano l’ultimo conforto”. “Fra le altre opere d’arte”, prosegue Bassi, “non possiamo tralasciare la bellissima campana in bronzo proveniente dalla chiesa di San Savino in Monte (anche se forse, in origine, fusa per la chiesa di Santo Stefano, cioè il Duomo), firmata da un maestro Wilmaro, quasi di certo un itinerante nordico e datata 1169, quindi fra le campane più antiche del mondo. Produce un soave Si naturale ed anzi una leggenda dice che le fu praticato un foro per attutire il suono originario che, troppo potente, spaventava a morte i neonati”.
Anche la chiesa delle Monache Agostiniane realizzata a metà ‘700, su progetto dei capimastri faentini Raffaele Campidori e Gianbattista Boschi, ha una conformazione architettonica di sicuro interesse, così come la decorazione a stucchi; in particolare il maestoso Agostino affiancato dalla madre Monica, i puttini e le cornici dei coretti da cui le suore, di stretta clausura, potevano assistere alle funzioni senza esser viste, e la pala dell’altar maggiore. Autore dei primi è il ticinese Gian Battista Verda, attivo anche a Imola, Faenza, Sarna; la seconda viene attribuita a Francesco Curradi (1570 – 1661), il più importante esponente della pittura devozionale della prima metà del XVII secolo.
Storicamente occorre ricordare che la nobile e potente famiglia comitale dei Guidi, dominatrice a lungo su parte dell’Appennino tosco-romagnolo, fece di Modigliana la propria residenza principale sino al passaggio della città ai fiorentini nel 1377. Dipendente dal capitanato di Castrocaro fino al 1510, solo per quanto riguarda l’amministrazione della Giustizia, passò sotto la giurisdizione del commissariato di Rocca nel 1837, ottenendo “in riparazione” dal granduca di Toscana Leopoldo II il titolo di “Città nobile”. A metà dell’Ottocento, come accennato, la Chiesa la elesse a sede vescovile, contribuendo ad alimentare quella vivacità culturale che ancor oggi la caratterizza.
Se la “città” di Modigliana non deluderà il visitatore altrettanto succederà a chi vorrà concedersi un pranzo o una cena nei ristoranti e agriturismi della zona.
Gabriele Zelli
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