Dopo l'uccisione il corpo fu sepolto sommariamente in aperta campagna
Risale al 24 agosto 1944 l’inizio dell’attacco dell’Ottava Armata britannica alla Linea Gotica. Le truppe alleate iniziarono una rapida avanzata verso la Provincia di Forlì, che fu raggiunta il 2 settembre, mentre il giorno successivo fu liberata Cattolica. Nel frattempo sul fronte montano gli Alleati raggiunsero San Sepolcro. Fu in questa fase, scrive Vladimiro Flamigni nel libro “Aeroporto di Forlì. Settembre 1944. La grande strage di ebrei e antifascisti”, edito dalla Società Editrice “Il Ponte Vecchio” di Cesena, che “i tedeschi abbandonarono l’idea di realizzare in provincia di Forlì una stabile opposizione all’avanzata alleata per adottare la strategia dello sganciamento graduale sfruttando le numerose opportunità offerte dal territorio attraversato da frequenti corsi di fiumi, fossi e canali e caratterizzato da un’agricoltura a predominante coltivazione ‘piantata’ con alberi, filari e scoli che costituivano un naturale ostacolo all’avanzata delle truppe inglesi. In quella situazione Forlì si ritrovò ad essere sempre più un’immediata retrovia del fronte e costante era l’afflusso di truppe sia in città sia nelle frazioni”. “La sicurezza del territorio”, sono sempre parole di Vladimiro Flamigni, “era ormai compito delle truppe regolari tedesche e le SS si trasferirono a Bologna”. Si tratta di un gruppo di ventitré SS, su sessanta, che aveva lasciato Roma al sopraggiungere dei soldati alleati (4 giugno 1944) per insediarsi a Forlì. Nella capitale le SS si occuparono del rastrellamento degli ebrei dell’ottobre 1943, delle torture nei confronti di antifascisti e partigiani nel carcere di via Tasso e dell’eccidio delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944). A Forlì e in Romagna, questa formazione cercò di contrastare con tutti i mezzi, anche i più feroci e sanguinari, la Resistenza e di terrorizzare la popolazione civile. Il gruppo di SS comandate da Karl Schütz stabilì la propria sede nell’ex brefotrofio di viale Salinatore e ben prestò riempi i locali del piano seminterrato di prigionieri (antifascisti, anche alcuni parroci, e partigiani) che furono torturati per tentare di estorcere loro ogni possibile informazione. Nel momento in cui le truppe alleate iniziarono a liberare il nostro territorio Karl Schütz ordinò la soppressione dei diciassette ebrei, in maggioranza donne, detenuti nel carcere mandamentale di Forlì e dei prigionieri che erano rinchiusi nell’ex brefotrofio. Fu così che nel mese di settembre del 1944, in quattro momenti diversi, in via Seganti, la strada che conduce all’aeroporto, furono uccise oltre quaranta persone. In questo modo Karl Schütz e le SS al suo comando si resero responsabile di una “soluzione finale” in sede locale, in quanto essendo saltati, o comunque resi quasi impossibili, i collegamenti con la Germania non era più possibile operare trasferimenti nei campi di concentramento.
Si tratta degli unici episodi di questo genere o se ne verificarono altri? Personalmente mi ha sempre colpito la tragica vicenda di Adelmo Angelini, nato a Ravenna il 20 novembre 1914, che si trasferì con la famiglia a Villafranca dove ancora adolescente, com’era nella consuetudine del tempo, iniziò a lavorare come operaio agricolo. A ventun anni sposò Maria Boschi, di due anni più giovane di lui, dalla quale ebbe tre figli. Durante il Secondo conflitto mondiale iniziò a collaborare con il movimento antifascista clandestino e dopo l’8 settembre del 1943 entrò nelle fila della Resistenza organizzando e assumendo il comando di una squadra di gappisti (Gruppi di Azione Patriottica) nella sua zona dal 3 marzo al 10 ottobre 1944. Contribuì in tal modo al successo delle azioni militari della 29^ Brigata GAP, che agiva nella pianura forlivese impegnando le retrovie tedesche con una logorante guerriglia per distrarre una parte importante delle truppe occupanti dal fronte della Linea Gotica.
L’attività partigiana di Adelmo Angelini non passò inosservata dalla milizia fascista tanto che fu costretto ad allontanarsi dalla famiglia e a trasferirsi nella provincia di Ravenna dove continuò l’attività clandestina. Il 16 settembre 1944 fascisti e tedeschi, secondo alcune fonti, tedeschi delle SS, secondo altre, arrestarono Adelmo Angelini a Villafranca. Lo picchiarono e lo portarono preso il locale comando tedesco dove restò recluso alcuni giorni. Successivamente fu trasferito a Bologna per essere portato in Germania, in un campo di concentramento. Angelini riuscì a fuggire dal luogo in cui era stato rinchiuso a Bologna in seguito ad un bombardamento e tornò a Forlì. Fu però nuovamente arrestato dai tedeschi (secondo alcune fonti dalle SS) e rinchiuso nella caserma dei carabinieri di Villafranca.
La moglie andò a fargli visita il giorno dopo l’arresto, ma le fu detto che il marito era stato nuovamente trasferito e di non recarsi più a trovarlo.
A dispetto delle torture subite Angelini non parlò, non rivelò i nomi dei suoi compagni di lotta e per questo venne barbaramente assassinato, probabilmente il 10 ottobre 1944; aveva trent’anni e lasciò la moglie e tre figli in tenera età, Bruno, Domenica e Graziella, la più piccola di appena 8 mesi.
Di lui, nonostante la disperata ricerca di notizie presso gli organi di polizia da parte della moglie, non si seppe più nulla fino al ritrovamento, nell’estate del 1945, dei resti del suo corpo sepolto sommariamente in aperta campagna a Villafranca con “le mani legate dietro la schiena e il cranio massacrato dai colpi ricevuti”, come dichiarò la moglie nel dopoguerra.
I funerali di Angelini furono celebrati nel 1945 dopo il rinvenimento del corpo, un manifesto affisso pubblicamente ne annunciò la morte. È ricordato nel Sacrario ai Caduti per la Libertà di Piazza Saffi e una via di Villafranca porta il suo nome.
Gabriele Zelli
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