La rievocazione dell'ultimo incontro. In previsione del 25 aprile
Insieme a Marco Viroli abbiamo più volte scritto di Antonio (detto Tonino) Spazzoli nei nostri libri, in particolare su “Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna”, numero 4, e “I giorni che sconvolsero Forlì. 8 settembre 1943 – 10 dicembre 1944”, entrambi editi dalla Società Il Ponte Vecchio di Cesena. Di seguito, invece farò parlare di Spazzoli da un suo compagno di ideali e di lotta, il repubblicano Augusto Varoli (1898 – 1968). Lo faccio volutamente nel periodo dell’anno in cui si celebra, purtroppo sotto tono, la Liberazione del paese dall’occupazione nazista e dalla dittatura fascista.
Augusto Varoli partecipò al movimento interventista per la Grande Guerra, fu un antifascista, esercitò l’attività di tipografo e la sua bottega diventò un luogo di ritrovo degli oppositori del regime, durante la resistenza collaborò con la banda Corbari e il Comitato di Liberazione Nazionale di Predappio. Potrebbero bastare queste poche righe per dare l’idea di chi è stato questo forlivese che strinse amicizia con Tonino Spazzoli (1899 -1944). Però l’ampio ritratto che ne fa Dino Mingozzi nel secondo volume dell’opera “Personaggi della vita pubblica di Forlì e circondario. Dizionario bibliografico 1897 – 1987”, a cura di Lorenzo Bedeschi e dello stesso Mingozzi, edito da QuattroVenti nel 1996, consente di aggiungere qualche altra informazione su uno di quei personaggi intraprendenti formatosi in ambito politico e culturale nella Forlì artigianale dei primi decenni del secolo scorso, dove si stava costituendo l’ossatura cittadina del Partito repubblicano.
Augusto Varoli raggiunse il fronte a partire dal 1917. Nel 1918 fu fatto prigioniero e dopo cinque mesi riuscì ad evadere. Rientrò a Forlì solo nel 1920 perché dovette scontare una condanna inflittagli da un ufficiale per motivi disciplinari all’isola di Favignana.
Fu attivo nella fase di costituzione delle Avanguardie repubblicane, un corpo paramilitare di autodifesa non ben accetto dai vertici nazionali del Partito repubblicano, ma presto allargatosi alla Romagna e nelle regioni attigue per far valere “l’intransigesimo repubblicano”. “Su queste direttive Varoli e compagni”, scrive Dino Mingozzi, “accorrevano in aiuto dei correligionari trevigiani aggrediti dalle camicie nere, nel luglio del 1921, senza risparmiare colpi, altrove, agli avversari di più vecchia o recente data. Varoli risultava implicato con Spazzoli e altri nell’assalto e nell’incendio d’una trebbiatrice di proprietà popolare a Modigliana. E in quei mesi in cui nessuno più si affidava al dialogo, lo si vide anche col fucile in spalla a difendere la sede del Circolo Mazzini insediata dalle camicie nere. Una spia questa della volontà propria a certi settori del Partito Repubblicano Italiano di riaffermare con risolutezza la sovranità territoriale del Partito, in zone, dove aveva salde radici, in un periodo di oscillazione dell’autorità statale”.
Sappiamo l’evoluzione storica di quel periodo che culminò con la presa del potere da parte dei fascisti e la conseguente dittatura durata vent’anni. Varoli rimase un avversario del regime tanto che nel 1924 alcuni squadristi, notandolo in piazza col repubblicano Antonio Argenti, lo additavano provocatoriamente. “Ne uscivano pistolettate”, come riporta Mingozzi, “e un ferito tra i passanti. Varoli si rifugiava in campagna, prima d’essere amnistiato”.
Quando poté riprendere l’attività di tipografo e la vita quotidiana, restò comunque legato alla cerchia di antifascisti nella quale figuravano l’avvocato Bruno Angeletti (1893 – 1973) fino all’intraprendente Tonino Spazzoli, e si estendeva in ambiti differenziati comprendendo anche uomini della fronda del regime: dai seguaci dell’ex gerarca Leandro Arpinati (1892 – 1945) fino ai sostenitori di Ettore Muti (1902 – 1943).
“Durante il periodo della Resistenza Varoli” annota Mingozzi, “fece parte della rete d’appoggio alla formazione partigiana guidata da Silvio Corbari (1923 – 1944) e a quei gruppi resistenti, a questa più o meno legati direttamente, come Radio Zella e quindi l’O.R.I. (Organizzazione della Resistenza Italiana ), cioè quell’insieme di protagonisti che avevano posto in salvo un folto gruppo di alti ufficiali britannici nascosti sull’Appennino tosco-romagnolo. Sfollato a Fiumana, Varoli dovette darsi alla clandestinità, collaborando col Comitato di Liberazione Nazionale di Predappio, quando fascisti e tedeschi riuscirono a individuare e distruggere parte del gruppo dirigente di tali resistenti”.
Risale a quei drammatici giorni l’ultimo incontro con Spazzoli che Varoli descrisse in un articolo pubblicato sul numero 7-8 del 1955 della Rivista di Illustrazione Romagnola “La Piê”, con il titolo “Ricordando Tonino Spazzoli nell’undicesimo anniversario del suo sacrificio”. Lo scritto, il cui testo è interamente pubblicato sul sito www.fratellispazzoli.it, è un vero e proprio tributo all’amico ucciso dai nazifascisti e perché avesse una diffusione più ampia Varoli ne ricavò un libretto che stampò presso la sua azienda, la “Tipografia Artigiana”.
In questo contesto, come accennato, si riporta la parte dove si ricorda l’atmosfera greve che vigeva nell’estate 1944.
“Quella sera (non ricordo con esattezza se fossimo alla fine di luglio o ai primi di agosto del 1944) già iniziato il coprifuoco, Tonino venne da me”, scrive Varoli. “Era sceso lungo il fossato
fiancheggiante la mia casa che dava sui campi. Appena il tempo di salutarci poi mi comunicò che i tedeschi erano venuti in possesso di una nostra radio trasmittente (Radio Zella ndr). La gravità della notizia non mi sfuggì e mi strinse il cuore. Tonino era addoloratissimo, ma calmo e assolutamente padrone di sé. Non era chiaro come i tedeschi avessero potuto mettere le mani sulla radio, ma sembrava che due di essi si fossero avviati casualmente a quella volta e colui che la teneva fosse fuggito, abbandonandola, credendo di essere scoperto. Questa la versione alla quale Tonino aveva creduto sulle prime e mi riferì, ma che probabilmente non era esatta.
Cambiammo discorso quando mia moglie chiamò per avvertirci che la cena era pronta. Sulle prime Tonino non ne voleva sapere, ma poi sedette a tavola con noi. Alla presenza dei miei figlioli e di mia moglie la conversazione mutò argomento distogliendoci dall’incubo che ci pesava sopra e dando maggiore serenità ai nostri animi.
“Riprendemmo il discorso”, continua Varoli, “subito dopo che mia moglie si era ritirata coi bambini per coricarsi. Sedemmo sui gradini della cucina dietro la casa, al sicuro da occhi indiscreti e ci trattenemmo fino a notte alta. Mi diceva Tonino che ormai la catastrofe non si poteva evitare e mi consigliava, quasi pregandomi, di stare in gamba e di tenere gli occhi aperti. Intuivo dai suoi discorsi che Sua prima preoccupazione e Suo pensiero assillante era la sorte di tutti coloro che avrebbero potuto essere coinvolti. Non pensava a sé. E quando io gli dissi: ‘Tonino per qualche giorno mettiti al sicuro, vai da qualche parte, cerca di riposarti, sei stanco, poi si vedrà…’, Egli mi rispose: ‘Se voglio delle case ne ho cento, ma non posso, ho ancora da fare per due giorni’. E aggiunse: ‘Lo so!… Sai tu quali probabilità che io ho di salvarmi? Figurati un uomo di fronte al plotone di esecuzione e che facciano cilecca i moschetti’.
“Pronunciava queste parole con tanta calma e con tale consapevolezza”, aggiunge Varoli, “da provocare in me profonda commozione e affettuosa ammirazione. Perché Egli avrebbe potuto facilmente porsi in salvo, ma il dovere e la Sua grande anima generosa lo inchiodavano per ‘due giorni’ ad un lavoro che doveva essere la salvezza di tutti i compagni e il Suo sacrificio pressoché certo.
Quando ci salutammo per andare a riposare Egli salì in una camera al primo piano che già altre volte lo aveva ospitato. Il mattino seguente, al levar del coprifuoco, si alzò e bussò alla porta della cucina ove mia moglie era in faccende. Non volle che mi svegliasse, la pregò di salutarmi, ringraziò e si lagnò ritenendo di cattivo auspicio uno scivolone che aveva fatto per le scale e che gli aveva procurato la caduta degli occhiali da sole”.
“Dopo due giorni, al mattino, si faceva malauguratamente sorprendere” conclude Varoli, “in casa Sua dagli agenti segreti del servizio tedesco. Era la fine. Resistette con strenuo coraggio alle atroci torture infertegli per lunghi giorni prima di trucidarlo, la notte del 18 agosto 1944 lungo la via Ravegnana, oltre Coccolia, ebbe anche lo strazio di vedere il fratello minore Arturo appeso alle forche, nella piazza Saffi di Forlì, al cospetto del quale era stato portato diabolicamente in catene.
La fine di Tonino e degli esponenti la valorosa banda Corbari falciò alla radice, lasciando sparse membra senza corpo, una forza ardente e operosa del partigianesimo forlivese”.
Infine Varoli riporta le motivazioni del conferimento della medaglia d’oro “che ha voluto premiare tanto eroismo e tanto martirio”: “Volontario della prima guerra mondiale, mutilato e pluridecorato al valor militare, fu nella guerra di Liberazione organizzatore audace, sereno e cosciente e diede vita e diresse formazioni partigiane fedeli continuatrici delle più fulgide tradizioni. I più audaci colpi di mano, i più rischiosi atti di sabotaggio, le più strenue azioni di guerriglia lo ebbero primo fra i primi, di esempio a tutti per coraggio, valore e sublime sprezzo del pericolo. Arrestato una prima volta e riuscito ad evadere si arruolava in un battaglione partigiano continuando senza sosta nella sua attività che mai dette tregua all’avversario. Caduto ancora nelle mani del nemico durante l’espletamento di una missione rischiosa affidata al suo leggendario coraggio, subiva sevizie atroci e martirii inenarrabili senza nulla rivelare che potesse tradire la causa. A compimento della sua eroica esistenza tutta dedicata alla Patria, cadeva sotto i colpi degli sgherri nemici che barbaramente lo trucidarono” (Romagna, 8 settembre 1943 – Coccolia, 19 agosto 1944).
Il testo di Varoli si chiude con queste parole: “Noi rendiamo fervido omaggio e onoriamo la Memoria di Tonino Spazzoli, con immutato sentire. Gli onesti chinino la fronte”.
Gabriele Zelli
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