Dietro quei raggi che girano c’è molto di più di un tipo strambo che sfida il traffico. Un modo di vivere più easy, meno gassoso e pure un’intera economia alle spalle.
Nel corso degli ultimi trent’anni è stata via via vista come il simbolo di un passato naif, oppure come il gadget dei nerd nordeuropei, tutti pc e due ruote, nella migliore delle ipotesi l’oggetto su cui salire per qualche (breve) vacanzina alternativa. La bicicletta però sembra avere assunto una dimensione diversa. Con un giro d’affari in Europa stimato in 500 miliardi di euro (di cui 8 in Italia), c’è chi parla di Bike Economy, che è il titolo del libro scritto da Gianluca Santilli – curatore di un osservatorio sul tema – e da Pierangelo Soldavini. Nella società moderna, che vive di narrazioni ed esperienze, la bici può essere considerata un contenitore di tecnologia (le e-bike), un mezzo di spostamento ecologico e salutare, un punto di vista sul mondo lento ma non immobile. Ma anche un settore produttivo: l’Italia aveva fabbriche artigianali fra le migliori al mondo, poi nel nome di una globalizzazione dissennata, ecco la quasi scomparsa di un patrimonio di saper fare. Ora le bici sono costruite perlopiù in Cina e molti stabilimenti in Italia hanno chiuso. Sulla qualità dei prodotti dell’estremo Oriente ciascuno si sarà già fatto un’idea.
Allora dietro quei raggi che girano c’è molto di più di un tipo strambo che sfida il traffico. Un modo di vivere più easy, meno gassoso e pure un’intera economia alle spalle. Che potrebbe ricominciare a pedalare forte se si realizzassero le infrastrutture ad hoc: piste ciclabili vere e sicure, ciclovie, itinerari, locali di ristorazione e di soggiorno, ciclofficine, mappe, componentistica e accessori. Mille opportunità, da cogliere per piccole-medie aziende e cooperative, se chi governa avesse l’avvertenza e il buon senso di spendere in modo oculato i fondi in arrivo per la ripresa.
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