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A rischio sette milioni di posti di lavoro

Per i robot, interessati più gli uomini delle donne

CESENA. Se ne parla poco, ma è la vera emergenza. Ci sono a rischio milioni di posti di lavoro. Il problema non è la mancanza di opportunità, ma l’automazione, i robot. Poi c’è anche un problema legato al cosiddetto mismatch, disequilibrio fra domanda e offerta. In dicembre  Le imprese hanno in programma di fare 354 mila assunzioni, ma 133 mila, il 37,5%, sono considerate, dagli imprenditori, di “difficile reperimento”.

A rilanciare l’allarme sui problemi che l’automazione potrà provocare è stata Repubblica che ieri ha titolato: licenziati da un robot. A rischio sette milioni di italiani. E saranno molto più uomini che donne perché i robot non possono fare le maestre d’asilo o curare ed assistere le persone, attività in cui è maggiore la presenza femminile. I rischi maggiori ci saranno per chi  opera nell’assemblaggio e nella logistica, i cassieri e le cassiere. Insomma, attività nelle quali sono maggiori le funzioni di routine. Sono ottocento le professioni a rischio, l’elenco è contenuto sull’ultimo numero della rivista Stato e Mercato del Mulino.

Emerge che l’Italia è diventato uno dei Paesi nei quali sta crescendo di più il rischio-automazione. In particolare perché il sistema produttivo ha accumulato ritardi nell’introduzione delle nuove tecnologie soprattutto per le ridotte dimensioni delle aziende che, storicamente, investono meno e dopo nell’innovazione tecnologica rispetto ad una media o grande. I settori nei quali è più bassa la probabilità di automazione sono: management e finanza, ambito legale, istruzione, assistenza sanitaria ed arte. 

Indubbiamente l’istruzione è un fattore che alza le difese dalla minaccia dell’automazione, ma non sempre. Ci sono professioni che richiedono un basso livello di istruzione e che spesso ricevono bassi salari ma che presentano una bassa probabilità di automazione. Ad esempio: fotografi, sarti, idraulici, parrucchieri e camerieri. Al contrario sono molto più robotizzabili impieghi che usano lavoratori con alta o media istruzione come i contabili, i fiscalisti e gli addetti alle buste paga.

Una strada per proteggersi sarà aumentare le opportunità di impiego nei settori in cui è più difficile sostituire l’attività umana, come i servizi alla persona, il turismo, la sanità e l’istruzione; incentivare le startup tecnologiche. Ma in tutta questa analisi, termina l’articolo di Repubblica, non bisogna dimenticare che i giganti del nostro tempo (Google, Amazon, Facebook o Apple) occupano in proporzione ai loro fatturati un numero di lavoratori davvero esiguo rispetto a quelli che occupavano i grandi gruppi del Novecento come General Motors.

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