Nel nuovo libro di Marco Viroli e Gabriele Zelli, foto di Fabio Casadei, tutte le bellezze artistico-culturali e la storia della città natale di Pellegrino Artusi
Dopo il successo di “Forlì. Guida alla città”, seguito da “Terra del Sole. Guida alla città fortezza medicea” e “Forlì. Guida al cuore della città”, editi da Diogene Books, la collaudata coppia di storici divulgatori Viroli-Zelli torna per la stessa casa editrice alle stampe con “Forlimpopoli. Guida alla città”, anche questa volta con le fotografie di Fabio Casadei.
Il libro è stato presentato con successo nella Sala del Consiglio Comunale della città divenuta famosa per essere stata la patria di Pellegrino Artusi, considerato il padre della cucina italiana e autore del libro “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.
Tuttavia Forlimpopoli offre molto altro, dalla Rocca, uno dei fortilizi meglio conservati della Romagna, al Museo Archeologico, alle numerose pregevoli chiese dove sono conservate opere di importanti pittori come Marco Palmezzano e Luca Longhi. Non va dimenticata Casa Artusi, il primo Centro di Cultura Gastronomica in Italia dedicato alla cucina domestica, nel nome dell’illustre gastronomo.
La nuova agile guida accompagna il visitatore attraverso un percorso di arte e storia, dagli albori della civiltà alle testimonianze di epoca romana, rinascimentale, barocca, sino al Novecento e oltre.
Nella prefazione del volume Milena Garavini e Paolo Rambelli, rispettivamente sindaca e assessore al Turismo del Comune di Forlimpopoli, scrivono: “Il modo migliore per andare alla scoperta della nostra città è partire dal carattere dei suoi abitanti, in cui si combinano tenacia e leggerezza di spirito.
Forlimpopoli è stata completamente distrutta in due diverse occasioni: la prima volta tra il 661 e il 671, da parte del re longobardo Grimoaldo; la seconda volta nel 1361 da parte del cardinale Albornoz, che privò la città anche del titolo di sede vescovile (spostandola a Bertinoro) e della protezione di San Rufillo (traslandone le reliquie a Forlì). Ma in entrambi i casi i forlimpopolesi non vollero abbandona- re ciò che rimaneva della loro città, e tornarono a edificarla proprio a partire – anche simbolicamente – da quelle distruzioni. Ed ecco così l’aula della cattedrale distrutta dall’Albornoz trasformarsi nella corte interna della Rocca degli Ordelaffi, con i muri perimetrali esterni della prima divenire i muri perimetrali interni della seconda. Ancora oggi entrare nel cortile della Rocca dai grandi arconi aperti su piazza Garibaldi è un po’ come entrare in una cattedrale che ha per sotto il cielo e visitando il piccolo ma affascinante Museo Archeologico posto al termine della corte è ancora possibile ammirare la linea trilobata dell’abside originaria. Non meno affascinanti, salendo dentro la Rocca, sono il teatro “Verdi” (ricavato dall’antico salone delle feste) e l’intatto giro dei camminamenti di ronda. Analogamente la traslazione a Forlì delle spoglie di San Rufillo, non dissuase i forlimpopolesi dall’arricchire la basilica a lui intitolata, l’unica paleocristiana del territorio, di straordinarie opere rinascimentali come le due Madonne con Bambino e Santi di Luca Longhi, la Deposizione di Francesco Menzocchi e le due arche monumentali dedicate a Brunoro I e a Brunoro II Zampeschi”.
“Né la sciagurata demolizione della casa natale di Pellegrino Artusi nel 1961”, sono sempre parole dei due amministratori, “ha negato la possibilità ai forlimpopolesi di farne il più importante attrattore turistico della città: trasferita nel quattrocentesco convento dei Servi di Maria, la Casa (di) Artusi si è imposta come il più importante centro di cultura gastronomica domestica italiano, attirando ogni anno 20.000 persone che ne frequentano i corsi e le proposte culturali mentre ammirano i capolavori di Marco Palmezzano e di Livio Modigliani conservati nell’aula magna ricavata dalla chiesa”.
Milena Garavini e Paolo Rambelli in conclusione del loro scritto mettono in evidenza che “Il carattere tenace e spensierato dei forlimpopolesi trova ultima conferma nelle principali manifestazioni che animano nel corso dell’anno il Centro della città, come la Segavecchia (che riprende gli antichi riti di passaggio primaverili, facendo dell’uccisione della “vecchia” l’occasione per donare dolciumi ai passanti), la Festa Artusiana (che per 9 sere, a fine giugno, vede l’intera città trasformarsi in un’unica immensa tavola) e Un dè int la Ròca ad Frampúl (che a metà settembre rievoca il ritorno vittorioso dalla Francia di Brunoro II Zampeschi).
All’insegna della leggerezza con gusto sono anche le rassegne dedicate alla musicale popolare in tutte le sue forme: da quella internazionale (col Festival di musica popolare) a quella aborigena australiana (con il Didjin’Oz Festival) a quella jazz. Né mancano tante altre iniziative capaci di soddisfare ogni gusto e interesse disseminate nel corso dell’anno (dal mercato di Fiorimpopoli in primavera alla rassegna di cinema Ciak… si mangia a dicembre), ma citarle tutte è impossibile: occorre venire di persona a viverle”.
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