Dalla manovra di bilancio era lecito aspettarsi una filosofia meno ragionieristica
CESENA. Forse non è giusto dire che la montagna ha partorito un topolino, ma la prima manovra economica del governo Meloni è poca roba. E’ vero che c’erano difficoltà evidenti, due su tutte: i tempi stretti e la crisi energetica. Inoltre ci sono i vincoli europei ai quali il governo ha scelto di adempiere. Un passaggio obbligato, perché aprire il portafoglio a fisarmonica più che l’Europa avrebbe indispettito i mercati che non avrebbero reagito bene col rischio reale di una forte impennata dello spread. Ed allora è stata scelta una strada ragionieristica, ma da una manovra economica è lecito attendersi di più. Soprattutto dal punto di vista dell’identità.
Quello che serve è concentrarsi su due voci: equità e sviluppo. In entrambi i casi però servono soldi che in cassa non ci sono. Siccome non è possibile pensare ad una moltiplicazione tipo quella dei pani e dei pesci, serve una ristrutturazione della spesa dello Stato. E la ristrutturazione delle poste di bilancio dal lato delle spese (1048 miliardi) e da quello delle entrate (981 miliardi) sarebbe la madre di tutte le riforme. Per farlo però significherebbe entrare nel merito concreto delle malversazioni, degli sprechi e delle ampie sacche di evasione ed elusione fiscale dal lato delle entrate. Significherebbe però andare anche contro le tante consorterie, lobby e logge che su quegli sprechi di spesa e sacche di evasione hanno fatto le proprie fortune. Solo così si può rilanciare una crescita sostenuta e strutturale, garantendo l’ equilibrio dei conti pubblici e una progressiva riduzione del rapporto debito/Pil per sottrarci alla sempre incombente ghigliottina dei mercati finanziari.
Poi ognuno sceglierà, in base alle proprie sensibilità, su cosa puntare per garantire lo sviluppo che abbiamo bisogno che sia almeno attorno al tre per cento, quota indispensabile per creare posti di lavoro e, quindi, ricchezza. Per riuscirci ci possono essere diverse ricette. Personalmente ritengo che la migliore sia quella keynesiana che garantisce una moltiplicazione del 2,5 degli investimenti fatti dal pubblico.
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