Prendere spunto da quello che fanno Francia, Germania e Francia
CESENA. E’ troppo sostenere che quello dell’inflazione è un fenomeno sottovalutato, ma non è azzardato ritenere che l’emergenza non sia trattata e sentita in tutta la sua gravità. Eppure ci sono segnali allo stesso tempo preoccupanti e inequivocabili. Nonostante si tratti della tassa più odiosa e che gli economisti denunciano che colpisce i poveri più dei ricchi. Lo dimostra anche la banca dati Bruegel, un autorevole think tank europeo, compila ogni mese, mettendo a confronto gli indici di inflazione relativi al 20 per cento più povero e al 20 per cento più ricco della popolazione. Ebbene, emerge che dopo la Lettonia, l’Italia è il Paese in cui i rincari pesano proporzionalmente di più sulle fasce più basse della popolazione. Mentre in Francia, Germania e Spagna l’onere maggiore è sui più ricchi: merito delle politiche dei governi, più mirate. Inoltre risulta che a novembre nel Belpaese per il 20 per cento delle famiglie più povere l’inflazione effettiva era vicina al 20 per cento, circa il doppio della reale. E, nel 2022, i poveri hanno avuto una inflazione di otto punti superiore a quella dei più ricchi.
Ma fa riflettere e preoccupare anche uno studio della Confesercenti. Emerge che il caro-vita si sta mangiando i risparmi degli italiani. Nel 2022 il saldo totale dei conti correnti delle famiglie è diminuito di quasi venti miliardi di euro, soldi utilizzati per preservare il loro tenore di vita. Ripresi anche dati forniti dalla Fabi che sottolinea che da agosto a novembre i depositi bancari sono calati di 18 miliardi (passando da 1.177 a 1.159) dopo che a giugno erano già stati “persi” dieci miliardi.
Secondo Confesercenti nel 2023 l’inflazione salirà di un altro 5,6 per cento e il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti risulterà inferiore di 2.800 euro rispetto al 2021, mentre per gli autonomi la capacità di spesa si ridurrà di 2.200 euro. E, questa situazione determinerà una crescita del solo 0,5 di spesa delle famiglie con le difficoltà maggiori per i redditi medio-bassi (40 per cento del totale) che vedranno i costi fissi salire al 49 per cento riducendo ancora di più lo spazio per altre spese.
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