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Arriva la Kibbutz Contemporary Dance Company

RAVENNA. Siamo tutti diversamente impegnati nella ricerca di un luogo da poter chiamare “casa”: nel nome di questa comune esperienza umana, Rami Be’er ci invita all’empatia con Asylum, la coreografia creata per la compagnia di cui è direttore artistico.

Al Teatro Alighieri di Ravenna, sabato 4 marzo alle 20.30 e domenica 5 alle 15.30, l’impeccabile tecnica e la travolgente energia degli interpreti della Kibbutz Contemporary Dance Company saranno incanalate in un lavoro che, interrogandosi sul destino di coloro che richiedono asilo, esamina concetti quali identità ed estraneità, senso di appartenenza e libertà su musiche di Ólafur Arnalds, Bon Iver, Ludovico Einaudi, Teho Teardo… La compagnia israeliana che Yehudit Arnon, sopravvissuta ad Auschwitz, fondò nel 1973 in un kibbutz sulle colline della Galilea (dove ha ancora sede e accoglie artisti da ogni parte del globo) è considerata uno dei migliori centri di danza al mondo, anche grazie alle distintive coreografie di Be’er, che ne sono diventate il marchio di fabbrica. Asylum  che affronta a viso aperto uno dei grandi conflitti della contemporaneità, è il secondo appuntamento della Stagione Danza 2023 del Teatro Alighieri, resa possibile dal sostegno del Comune di Ravenna, della Regione Emilia Romagna e del Ministero della Cultura e dal contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.

“In quanto membro di una famiglia che conta sopravvissuti all’Olocausto, il concetto di ‘asilo’ mi è particolarmente vicino – spiega Rami Be’er, che guida la KCDC dal 1996 – In Asylum, però, non intendo riferirmi a un luogo quanto a uno spazio: una zona protetta e un intimo stato spirituale dove gli individui trovano casa, speranza, senso di appartenenza e identità. In fondo, tutti noi esseri umani cerchiamo asilo, uno spazio sicuro dove possiamo essere noi stessi come persone e come artisti. Credo che la danza possa commentare la nostra condizione esistenziale, fare domande e mettere in evidenza questioni importanti; in breve, possiamo spingere il pubblico a riflettere: la danza non può cambiare la realtà politica ma può influenzare gli spettatori che siedono insieme in un teatro…spero sempre che, una volta che avranno lasciato la sala, finiranno per portare qualcosa con sé e parlare di quel qualcosa con i loro amici e famigliari.”

L’estetica coltivata da Rami Be’er attinge tanto dalla moderna tradizione europea quanto da influenze americane contemporanee, ma è anche distintamente israeliana: il movimento, che può farsi ferocemente sfrenato nel suo sperimentalismo, è pervaso da un forte senso di comunità e può farsi portatore, più o meno velatamente, di messaggi politici e sociali. In Reservist’s Diary (1989), per esempio, si concentra sul conflitto interiore di un riservista dell’esercito, un essere umano che pure è chiamato ad eseguire ordini. In Asylum il conflitto fra sentimenti contraddittori – desiderio di vicinanza e istinto alla fuga, violenza e tenerezza – è costantemente presente; è un abbraccio e una lotta in cui si mescolano sensualità, humour, tensione, energia, marzialità. I diciotto carismatici interpreti possono tanto farsi collettività quanto esprimere la propria individualità, ora separandosi dal gruppo e ora tornando a convergere, danzando la solitudine quanto l’appartenenza.

Nato e cresciuto nel kibbutz, allievo di Yehudit Arnon che ne riconobbe il potenziale fin da bambino, Rami Be’er ha trovato la propria libertà artistica a Ga’aton, casa della KCDC vicino al confine con il Libano; una connessione indelebile che è parte del processo creativo al pari dell’ispirazione offerta dalla musica – Be’er ha cominciato a suonare il violoncello a dodici anni – e dal quotidiano, dalla natura, dall’arte. Il coreografo si definisce una “spugna” che assorbe spunti di movimento e li rielabora, finendo per curare anche le luci, i costumi, il sound design, in una visione unitaria al servizio dell’idea. Non una storia, quanto una rotta che Be’er affida all’interpretazione degli spettatori perché la percorrano in compagnia delle proprie memorie, associazioni, emozioni. Nel formulare interrogativi e provocare riflessioni, le sue coreografie mirano ad arricchire e complicare il nostro punto di vista, aprendo mente e cuore.

L’itinerario Danza si conclude l’11 e 12 marzo con la serata dedicata a Stravinskij e il Malandain Ballet Biarritz: il suo fondatore Thierry Malandain, maestro del linguaggio neoclassico, firma la rilettura de L’uccello di fuoco, mentre è di Martin Harriague, astro nascente della coreografia francese, La Sagra della primavera.

Info e prevendite: Biglietteria Teatro Alighieri – tel. 0544 249244 – www.teatroalighieri.org

Biglietti: da 10 a 30 Euro

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