Scritto da Matteo Marani
Complimenti a Matteo Marani. Anche se non ce n’era bisogno, ha dimostrato di essere un bravo giornalista. Con una capillare attività investigativa ha riportato alla luce la triste storia di Arpad Weisz e della sua famiglia. L’ha descritta nel libro “Dallo scudetto ad Auschwitz” (174 pagine, edizioni Imprimatur). È un volume (ora alla quarta edizione) scritto bene. Si legge fluidamente. Marani usa frasi brevi, evita voli pindarici e non usa aggettivazioni esagerate. Ma soprattutto commuove e indigna. Il libro va letto tutto d’un fiato tanto è affascinante il personaggio di Weisz. Ma, in particolare, racconta una storia esemplare per comprendere come in pochi anni una persona di successo perfettamente inserita nella società possa diventare un essere senza patria e senza diritti.
Árpád Weisz, geniale allenatore di calcio ebreo-ungherese, negli anni Trenta vinse alcuni scudetti in Italia. Prima con l’Inter, poi un paio di fila a Bologna. Al culmine della sua carriera e della sua popolarità le leggi razziali gettarono nel buio la sua esistenza decretando la fine sua e della sua famiglia (ad Auschwitz).
A Marani sono serviti tre anni di lavoro per raccogliere tutti gli elementi. Dopo i successi sul campo Weisz finì nel tritacarne delle leggi razziali. Prima lasciò l’Italia e poi, dall’Olanda, fu trasferito ad Auschwitz dove morì la mattina del 31 gennaio 1944. Il 5 ottobre 1942 erano entrati nella camera a gas sua moglie Elena e i suoi figli Roberto e Clara di dodici e otto anni.
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