Più di 200mila visualizzazioni in dieci giorni sui canali social di Legacoop Romagna e il conto è in continua crescita: gli interventi di Dario Fabbri all’evento di Legacoop Romagna svolto lo scorso 18 aprile a Bagnacavallo hanno confermato il grande interesse che attraversa il Paese per le istanze geopolitiche e per il futuro dell’Europa. Contrariamente alle analisi tradizionali — che si concentrano sulle decisioni dei governi — la visione del relatore ha posto l’accento sulla “geopolitica umana”, ovvero sulle pulsioni più radicali che attraversano gli strati della popolazione.

Il direttore di Domino è intervenuto in apertura dell’evento — organizzato nell’ambito dell’ottantesimo anniversario di Legacoop Romagna e della Liberazione — e quindi nella tavola rotonda con il presidente di Legacoop nazionale, Simone Gamberini, l’europarlamentare Stefano Bonaccini e i giornalisti Valerio Baroncini, vicedirettore del Resto del Carlino, e Luca Pavarotti, presidente di CEGA, cooperativa che pubblica il Corriere Romagna.
La nuova politica di dazi annunciata dagli Stati Uniti – ha sottolineato Fabbri – si inserisce in un cambiamento epocale dei sentimenti dell’America profonda, di cui Trump è il prodotto e non la causa. Dalla disillusione di questa America indebitata, depressa e disillusa è nata la rabbia nei confronti dell’Europa, il cui tenore di vita viene letto come il risultato dei sacrifici di politica estera degli americani. Da qui anche la richiesta di sostenere nuove spese militari. Questo sentimento di astio nei confronti degli “europei scrocconi”, come appellati da più parti, si è tramutata in una reazione ostile nei confronti degli alleati di sempre, ma è da considerare transitoria. Il vero bersaglio tattico di questa nuova stagione internazionale è la Cina, vera protagonista della globalizzazione manifatturiera. I dazi nei suoi confronti, sostenuti dagli apparati del “deep state”, mirano a limitare il surplus commerciale cinese e la sua spesa militare.
Dalla tavola rotonda con Gamberini e Bonaccini è emerso che la tattica del governo italiano di non scontrarsi frontalmente con l’amministrazione Trump, cercando invece di presentarsi come un interlocutore privilegiato, può avere senso nel breve termine, ma è difficilmente sostenibile nel lungo periodo. Quello che serve davvero è una nuova visione dell’Europa che le consenta di agire in modo sempre più unitario e con una strategia comune. In questo contesto il modello cooperativo, con la sua attenzione all’uguaglianza e alla democrazia, potrebbe rappresentare un elemento distintivo e un valore da esportare per l’Europa.
Fabbri, qual è la sua valutazione sull’incontro tra la Meloni e il presidente Trump?
«È stato un incontro interlocutorio, come tutti questo tipi di incontri, con la promessa di trattare, di negoziare. Non mi è sembrato un incontro tecnico, è stato un incontro politico, era quello l’obiettivo. La tattica del nostro governo la conosciamo: è quella di non andare allo scontro frontale con gli Stati Uniti ed è una tattica certamente comprensibile insomma, gli Stati Uniti sono un pochino più forti di noi, ma era un incontro che aveva questo l’obiettivo. L’incontro, cioè, oltre che mantenere il nostro governo come “governo favorito” dall’amministrazione Trump, voleva essere un incontro interlocutorio che conducesse ad un negoziato, cioè non non è successo niente tecnicamente se non questa parte politica».
Quale, invece, il suo giudizio sui dazi? Come difenderci?
«Non sono sicurissimo che Trump abbia soltanto, come dire, una ragione razionale in quello che fa. Trump va molto a tentativi: quindi impone dazi, poi gli viene spiegato che non sono sostenibili in questa forma, allora fa marcia indietro. Sul come possiamo difenderci… Potremmo bluffare. Di solito al bluff si va con il bluff, Ad esempio, potremmo fingere di “regalarci” alla Cina senza farlo davvero, ma ci vuole una unità tra i paesi europei… che non c’è e, soprattutto, ci vuole un pizzico di coraggio che, forse, c’è ancora meno».
Qual è, dunque, il ruolo dell’Europa e la sua collocazione in questo “nuovo” contesto geopolitico?
«Mah, l’Europa ha sempre quel collocamento nel senso che non è uno stato, non è una potenza… è composta da nazioni diverse, come ben sappiamo, che gioca ad avere un governo, anche se non ce l’ha. L’Europa è il continente più importante del mondo, nel senso che chi domina l’Europa – questo ci dice la storia recente e anche attuale – domina il pianeta e infatti è assai conteso. Non è, dunque, che l’Europa ha un ruolo di per sé, l’Europa, cioè, è composta da nazioni piccine che rimangono distinte e quindi tendenzialmente siamo uno spazio conteso, soprattutto americano, ma che può essere conteso, non molto altro. Il resto è ideologia, propositi, sogni».
All’interno di un mondo ormai da 3 anni in guerra come vedi la possibilità per il Movimento Cooperativo di incidere sulle questioni della pace?
«Non sono così dentro al “Movimento” come voi. Credo che, in generale, quello che può essere un apporto nel senso della pace almeno debba essere per una pace razionale. Cioè il pacifismo è nobilissimo – non devo certo dirlo io – un nobilissimo proposito. Il problema è quando il pacifismo – in Italia succede – scade nell’opportunismo e diventa “una foglia di fico”: non vogliamo vedere, non vogliamo sapere, non vogliamo scocciature, vogliamo tornare alla nostra vita precedente e quindi noi ci tiriamo indietro a prescindere, indipendentemente da chi vince, chi perde, chi subisce, eccetera».
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