Romagna Post

Al Goldoni e al Masini va in scena “Oltre”

OLTRE ph.

(ph. Gianluca Pantaleo)

BAGNACAVALLO. Venerdì 5 e sabato 6 dicembre (ore 21) al Teatro Goldoni, poi lunedì 8 dicembre alle ore 21 al Teatro Masini di Faenza, va in scena Oltre. Come 16+29 persone hanno attraversato il disastro delle Ande, uno spettacolo di grande potenza visiva e drammaturgica, ispirato a un fatto realmente accaduto che ha recentemente debuttato nell’ambito del prestigioso Romaeuropa Festival.

Ideato e diretto dalla pluripremiata regista-autrice Fabiana Iacozzilli, autrice della drammaturgia insieme a Linda Dalisi, lo spettacolo è interpretato da Andrei Balan, Francesco Meloni, Marta Meneghetti, Giselda Ranieri, Evelina Rosselli, Isacco Venturini, Simone Zambelli.

Il 13 ottobre 1972 il volo 571 dell’aeronautica militare uruguaiana si schiantò sulle Ande con quarantacinque persone a bordo. Il volo trasportava i membri della squadra di rugby Old Christians Club insieme ad alcuni amici e familiari. I ragazzi avrebbero dovuto affrontare una partita, la rotta era da Montevideo, in Uruguay, a Santiago, in Cile. Allo schianto sopravvissero in ventinove e dopo settantadue giorni solo sedici di loro furono salvati dai soccorsi. Il 22 dicembre 1972 il mondo venne a sapere che sulla Cordigliera delle Ande i passeggeri erano sopravvissuti cibandosi dei corpi dei loro amici.

“Linda Dalisi ed io – racconta Fabiana Iacozzilli – siamo partite per Montevideo per incontrare alcuni tra i sopravvissuti al disastro aereo, oggi uomini di età comprese tra i 70 e i 75 anni, e alcune tra le sorelle, i fratelli e i figli degli uomini e le donne che non sono tornati dalle montagne. Siamo entrate nelle loro case, nei loro posti di lavoro, siamo andate a visitare il campo da rugby in cui erano soliti allenarsi, abbiamo scoperto che ci sono gruppi di fan della storia e dei loro protagonisti sparsi in tutto il mondo, siamo andate a visitare un museo dove al suo interno è contenuta una cella frigorifera che consente ai visitatori di sentire per settantadue secondi il freddo che hanno provato quei ragazzi per settantadue giorni. Ma cosa cercano le persone in questa storia?

Siamo partite con tante domande e siamo tornate con la consapevolezza che questa è una vicenda ‘prismatica’ come la definisce Linda Dalisi, in cui non ci sono né vincitori né eroi e che un pezzo centrale di essa si svolge dall’altro lato della montagna,in quella Montevideo in cui le famiglie dei giovani scomparsi interpellavano indovini e pregavano dio, affittavano aerei privati per sorvolare la cordigliera e chiedevano di parlare con Allende pur di ritrovare i propri figli. E quindi ‘fin dove è disposto a spingersi l’essere umano?’

Nando Parrado, è forse il personaggio più carismatico di questa vicenda: un ragazzo di vent’anni che decide di intraprendere insieme a Roberto Canessa il viaggio per cercare i soccorsi e lo fa con ai piedi dei mocassini e nello zaino otto calzettoni da rugby pieni di carne umana. Ma cosa lo muove? Aveva la sorella e la madre interrate a quattro metri dalla fusoliera, sarebbe arrivato il momento in cui sarebbero stati gli ultimi due corpi di cui cibarsi. 

Nella scelta della lingua scenica risiede la volontà di mettere al centro della narrazione le questioni legate al corpo, utilizzando delle marionette ibride ispirate alle opere di Giacometti come mezzo per consentire ai corpi di diventare scheletrici davanti agli occhi del pubblico; per consentire a questi corpi di entrare uno dentro l’altro. Il mondo della figura posiziona la vicenda su un piano metafisico e i puppets, per loro natura punti di contatto con il mistero e il perturbante, ci fanno sprofondare nella dimensione spirituale di cui la vicenda è intrisa. Centrale all’interno di questo lavoro è la contaminazione del teatro di figura con le voci delle testimonianze.

Perché raccontiamo oggi questa storia? Perché è una storia piena d’amore, in cui ci sono dei figli che cercano di tornare dai loro padri e che come Amleto si interrogano sull’essere o il non essere, perché ci sono dei padri che decidono di salire in groppa a un cavallo per andare a riprendere ciò che resta del corpo di un figlio e che ci ricordano Priamo in ginocchio che rivuole il corpo di Ettore, perché è la storia tragica di famiglie che si spezzano e che sono costrette a ricercare nei corpi dei sopravvissuti dei pezzettini dei propri cari. E come possono guardare gli occhi di una madre tutto questo?

Ma anche perché come dice Ana Ines Lamas, sorella di una delle vittime, è una storia di ignoranza e di immaginazione: i ragazzi non conoscevano la neve e il ghiaccio e proprio per questo sono riusciti ad andare oltre, immaginandosi un modo per sopravvivere e inventandosi una strada da percorrere per tornare a casa.”

Info: accademiaperduta.it

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