Oggi non ho una storia da raccontare. Eppure la Romagna che vivo tutti i giorni mi offre sempre tante suggestioni. Basta passeggiare per le vie del mercato della mia città, fermarsi in un bar ad ascoltare le persone che si godono il caffè mattutino, seduti al tavolino, mentre si salutano e si scambiano le prime parole della giornata, rigorosamente in un misto tra dialetto e italiano.
Pochi giorni fa, parlando con alcune persone, mi è capitato di riflettere su una cosa che in questi anni avevo dato per scontato: raccontare la Romagna era diventata un’esigenza, quasi un modo per rimettere me stessa all’interno di un luogo che per molto tempo avevo visto come altro da me. Persone, facce, modi di dire, suoni, immagini: un mondo che non mi apparteneva e al quale non appartenevo, io non figlia della Romagna, senza legami con questa terra, di nessun genere.
Ma è pur vero che come dice la mia amica Giovanna Conforto, colei che mi ha guidato nei meandri dello storytelling, o meglio della narrazione, come a me piace definire l’arte del racconto, le storie arrivano da sole, non è necessario cercarle spasmodicamente. Appaiono e basta.
Visioni di una non romagnola
Ed è così che questa terra, fatta di luoghi poeticamente riservati per tanto tempo, ritrosi dal muoversi magmatico di una regione abbagliata dalle luci al neon della costa turistica, ha cominciato ad apparirmi, piano piano, pezzo per pezzo, storia per storia.
Per anni ho letteralmente evitato tutto quello che questa regione rappresentava: io abituata a viaggiare sin da piccola per coltivare le mie amate lingue straniere, io abituata a leggere, a vedere, ad osservare ad essere aperta, a parlare con tutti, mi ritrovavo nella periferia di una città(Forlì) che, seppur capoluogo di provincia, aveva ben poco da offrirmi e anzi mi isolava proprio per le mie origini non romagnole.
Immagini, suoni, odori, profumi, parole, sorrisi delle tante persone incontrate in questo cammino lungo quattro anni, da quando 21grammy, il blog che ospita i miei racconti, è stato messo on line per la prima volta. E insieme a me i tanti che hanno contribuito a costruire il racconto: amici, persone conosciute per caso, compagni di viaggio che ho portato con me e che mi hanno fatto scoprire la sorpresa della scoperta. Il lungo respiro che si apre quando lo sguardo si posa su un paesaggio inaspettato, che vorresti tener per te.
Romagna rulez!
La Romagna non è conosciuta come meriterebbe è vero.
Il romagnolo è selvatico come la terra che coltiva da secoli, quella al confine tra Romagna e Toscana, ma anche quella più a nord, dove le valli acquitrinose del Delta del Po’ raccontano di briganti, di erbe palustri, di zanzare malefiche e di fame atavica. Proprio queste secolari difficoltà, lo hanno lasciato diffidente verso chi non conosce, e anche verso ciò che non conosce, ma capace di inventare, di creare, di produrre per la semplice necessità di risolvere i problemi quotidiani.
Qui si sta bene, perché si sta bene, senza nemmeno interrogarsi sul perché. Da qui nessuno vuole andare via, nemmeno i turisti che, ancora troppo per caso, scoprono questa terra, oltrepassando i confini mentali del classico itinerario, Venezia, Firenze, Roma. Come se tra una e l’altra non ci fosse nulla. Come se l’Italia fosse solo quella. Come se la Romagna non esistesse. Come se la Romagna fosse solo la caveja, la piadina e i cappelletti.
Non ho scelto la Romagna, non ho scelto di vivere dove vivo, ma ho scelto il racconto che questa regione mi offre tutti i giorni. Ho scelto le storie, ho scelto le persone. Forse è la Romagna che ha scelto me.
Se vuoi ascoltare e scaricar il podcast, clicca qui! Sono in onda ogni venerdì sera alle ore 21 con Romagna with my eyes!
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