La grande crisi ha creato squilibri. Non ci possiamo permettere di lasciare indietro nessuno. Rischiamo di perdere una generazione
Incontro fra amministrazione comunale e sindacati propedeutica soprattutto alla composizione del nuovo bilancio. In cima alla lista sono stati messi i temi dell’equità fiscale e della lotta all’evasione, ineludibili nel momento in cui si tratta di definire la distribuzione di risorse adeguate e le modalità di accesso ai servizi.
In quest’ottica è sempre stato convenuto che il ‘quoziente Cesena’ dovrà essere sempre di più lo strumento attraverso il quale raggiungere questi obiettivi.
Il ‘quoziente Cesena’ è stato introdotto nel 2011 con l’obiettivo di garantire una maggiore equità nella determinazione delle rette.Ora sono modulate in base a più scaglioni Isee incrociati con le caratteristiche delle famiglie. Tutto è perfettibile, ma la filosofia mi piace. A patto, però, che non ci si dimentichi degli ultimi.
Adesso ci dicono che siamo fuori dal periodo difficile e che il futuro dovrebbe essere più roseo. Speriamo. Al momento però non si può non registrare che la grande crisi ha dato alla povertà connotati diversi. Basti dire, ad esempio, che nel 2009 a Cesena c’erano stati circa trenta sfratti esecutivi, mentre nel 2014 sono saliti a più di seicento. I senza fissa dimora erano un paio, ora sono una cinquantina.
Crescono poi le famiglie con fragilità. Sono soprattutto composte da giovani che hanno alle spalle una rete familiare fragile. L’obiettivo primario è, e dovrà essere, fare in modo che i bambini che fanno parte di questi nuclei abbiano le opportunità di crescita che hanno tutti gli altri. Il rischio è di avere un numero di bambini che non riusciranno a studiare e, considerato che il numero è alto, sarebbe un grosso impoverimento per la città. Rischiamo di perdere una generazione.
Una situazione che preoccupa e che una città civile non si può permettere. Anche perché garantire a tutti una crescita culturale ritengo sia il modo migliore per evitare quelle sacche di insoddisfazione che, spesso, sono alla base del malessere che porta gli stranieri, anche di seconda generazione, ad allontanarsi dalla realtà della quale fanno parte. E la mancata integrazione è la cosa peggiore che ci possa essere.
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