La serata in ricordo di Mario Vespignani (1924-2015), che si è svolta sabato 11 gennaio 2020 a Castiglione di Ravenna, ha destato molto interesse nel numeroso pubblico presente. L’incontro, promosso dall’Associazione Culturale “Umberto Foschi”, in collaborazione con l’Istituto Friedrich Schürr, ha avuto come protagonisti Nivalda Raffoni, Oriana Fabbri, Electra Aiti, Radames Garoia, Giuseppe Brunelli, Francesco Nardi e Sauro Mambelli, che hanno letto poesie e zirudelle in dialetto romagnolo di Vespignani raccogliendo molti applausi. La cantante Tina ha eseguito con maestria diversi brani musicali che hanno testi del poeta forlivese. Il tutto è servito per rammentare le indubbie qualità di poeta di Vespignani come autore di centinaia di componimenti in vernacolo.
Durante il corso della serata Gabriele Zelli ha cercato di mettere in evidenza altri aspetti della vita di Vespignani, altrettanto importanti, soffermandosi sulla sua militanza politica nel Partito Socialista Italiano, facendo presente anche il padre era un socialista, il quale manifestava pubblicamente questo ideale anche durante il periodo fascista. Così Mario Vespignani ricordò quel periodo e quello immediatamente precedente: “Certo che per i socialisti forlivesi il tradimento di Mussolini pesava forte, lui tanto estremista, da soreliano, della rivoluzione per la rivoluzione, il passaggio nelle file della destra e del nazionalismo più reazionario, fu un grave colpo, pensavano ai suoi discorsi infiammatori per il Socialismo, alle sue lotte contro i repubblicani dell’Edera e del Circolo Mazzini e vedevano nel suo comportamento un tradimento totale. L’uccisione di Giacomo Matteotti fu una disfatta. Mio padre oltre a non aver voluto prendere la tessera fascista, con grave difficoltà per la famiglia, aveva nel portafoglio lo scritto: “Voi mi uccidete ma non uccidete l’idea che è in me”, la famosa frase pronunciata da Matteotti. Sono nato alcuni mesi dopo la sua morte – sono sempre parole di Vespignani – sotto il suo sguardo, nella camera da letto dei miei c’era appeso un grande quadro col ritratto di Matteotti, tanto che quando vennero ad arrestare mio padre, nel 1938, per la venuta del Re a Forlì per il 400° anniversario del Melozzo, il delegato di Pubblica Sicurezza chiese a mio padre chi fosse quel personaggio nel quadro e mio padre rispose: “Un mio parente”, al che il Delegato si premurò di scrivere tutto. Pur nel dispiacere per l’arresto, risi nascostamente della risposta di mio padre e pensai: “Non sapevo di essere parente di Matteotti!”.
Gabriele Zelli ha ricordato inoltre Mario Vespignani come autore di brani per il concorso “E’ Campanon”, festival canoro avviato nel 1966 che si svolgeva nel mese di settembre nel corso della Settimana Cesenate. Così scrisse di quella felice esperienza Mario Vespignani: “Fu il mio carissimo amico, tenore Carlo Zampighi (1927-1997), a chiedermi un testo in dialetto romagnolo da far musicale al maestro Ely Neri (1927-2005), gli diedi “Aqua céra”, un testo scritto subito dopo la guerra. Ely Neri, altro mio carissimo amico, si mise subito a musicarla e la spedimmo al “Campanon”. Partecipammo e lo vincemmo. L’anno successivo presentai due canzoni: “L’autostop”, sempre musicata da Ely Neri e cantata dal baritono Giovanni Bendandi, e “Vola pinsir”, musicata dal maestro Bibi Ravaioli e cantata da Carlo Zampighi. Vinse la canzone “L’autostop” e “Vola pinsir” fu terza. L’anno successivo – sono sempre ricordi di Vespignani – presentai ancora due canzoni: “Partigiân sénza nôm”, musicata dal maestro Mauro Neri e cantata da due giovanissimi: Luca Gatta di undici anni e Manuela Tassani di dieci, e “Udôr ad tëra frésca” musicata da don Arturo Femicelli e cantata da Carlo Zampighi. Vinse “Partigiân sénza nôm”.
Dal 1973 sino alla fine del Campanon avvenuta nel 2004, per 31 anni, Vespignani ha sempre partecipato alla manifestazione classificandomi anche due volte secondo, una volta terzo e ottenendo due “Carlini d’Oro”.
Infine Gabriele Zelli ha rammentato che Mario Vespignani raggiunse l’età pensionabile come dipendente del Comune di Forlì, negli ultimi dieci anni di lavoro ricoprì il ruolo di capo ufficio stampa, ma dal 1945 al 1960 aveva svolto l’attività di camionista, prima con suo padre e poi col fratello Walter scomparso prematuramente all’età di soli 37 anni. Su questo periodo e su quello del Secondo conflitto mondiale Vespignani ha lasciato due interessanti libri. Il primo si intitola “Via del Cippo” e la pubblicazione, che ha ottenuto importanti riconoscimenti anche a livello nazionale, prende il nome dalla strada che dalla Cervese, in località Pievequinta, si dirama verso Ravenna dove nell’angolo è collocato un piccolo monumento che ricorda 10 partigiani e antifascisti uccisi per rappresaglia dai nazifascisti nel luglio del 1944. Il secondo volume ha come titolo “Camionisti. Giorno e notte sulla strada. Diario di vita vissuta”. Nelle prime pagine l’autore ha inserito un suo breve componimento poetico “Camiunésta”, molto mordace e singolare, com’è stata la vita di Vespignani: “S’a péns a tôt e’ sôn ch’a j ho patì, / a tôti al sigarét ch’a j ho fumé, / ai cafè ch’a j ho tôlt pr’arvanzê svégg / e adèss ch’a fa fadiga a indurmintém, / u m’ciapa rabia” (Se penso a tutto il sonno che ho patito, / a tutte le sigarette che ho fumato, / ai caffè che ho preso per stare sveglio / e adesso che faccio fatica ad addormentarmi, / mi prende rabbia)”.
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