Se al parlamentare non piace la libertà di informazione

In questo momento l’argomento non è popolare e quindi è meglio non trattarlo. Questa la risposta dell’ufficio stampa di un parlamentare locale sollecitato sui contributi all’editoria. Le parole esatte non sono state quelle, ma il senso sì. Come è lontano, viene da pensare, il tempo in cui Bielli, Bonavita, Pinza, Sedioli si riunivano e si impegnavano direttamente. Ora al fondo per l’editoria accedono i giornali no profit e quelli editi dalle cooperative. Quello che però meraviglia non è il mancato impegno, ma la risposta. Un parlamentare deve avere il coraggio delle sue azioni e non stare nella zona grigia. Troppo facile.

Non è detto che si debba essere favorevoli ai fondi per l’editoria. Si può essere contrari, però bisogna dirlo apertamente e spiegare il perché. Il motivo però non può essere economico. Cinquanta o sessanta milioni di euro all’anno non sarebbero un problema per le casse dello Stato.

Se invece si è favorevoli si deve dire e spiegare il proprio progetto. Vale anche il “sì, ma però”. Questo approccio non devrebbe valere solo per i fondi all’editoria, ma per tutti gli argomenti trattati. Non è detto che un sì o un no debba essere incondizionato. Anzi, chi elabora una proposta articolata (leggesi progetto) va apprezzato ulteriormente in quanto dimostra di saper andare oltre la semplice propaganda.

Tornando ai fondi dell’editoria ribadisco che è legittima qualsiasi posizione, purché sia chiara e articolata. A tal proposito propongo la mia che potrebbe essere la base per una proposta da parte di chi è favorevole al mantenimento, ma a certe condizioni.

Bisogna premettere che al momento servirebbero 91 milioni di euro per soddisfare tutte le necessità, mentre il governo a copertura della richiesta del 2013 (i pagamenti sono fatti con un anno di ritardo), ne ha versati 48, mentre la legge di stabilità ne prevedeva ottanta.

Nello stesso tempo sono state tagliate tutte le provvidenze che erano previste nel bilancio triennale e che dovrebbero coprire anche il 2014. Ovvero l’anno appena chiuso. Quindi si tratta di soldi che le aziende hanno già speso. Quello del governo Renzi è perciò un taglio retroattivo che, fra l’altro, puzza di incostituzionalità. Questa è la situazione.

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La mia proposta per mantenere il fondo è molto semplice. Per il 2014 (soldi da pagare a fine 2015) portare il gettito a 60 milioni di euro, il minimo per permettere alle aziende di coprire le spese già fatte ed evitare problemi nei bilanci.

Non va dimenticato che i contributi sono iscritti a bilancio e il taglio provoca una sopravvenienza passiva che potrebbe determinare la liquidazione della società.

Poi si può parlare di quella riforma che i diretti interessati chiedono da tanti anni. Si può anche prendere in considerazione un ulteriore taglio della cifra prevista. Si può anche scendere a 30/40 milioni, ma con una diminuzione graduale.

Poi però servono paletti seri su chi vi può accedere e su come devono essere concessi. Un’idea potrebbe essere quella di legarli al numero degli assunti a tempo indeterminato e alle copie vendute. Sempre che si voglia vincolare il fondo ai giornali no profit e editi da cooperativi.

Travaglio, ad esempio, è di idea diversa. Ritiene, lo ha detto, nell’audizione in commissione alla Camera, che se ci fosse un fondo dovrebbe essere distribuito a pioggia per tutti i giornali.

Insomma serve chiarezza (e coraggio). Se invece si vuole dare spazio al populismo tanto vale allora puntare sui grillini. Almeno sono più diretti.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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