Maurizio Bondi è il nuovo presidente di Cofari - Cooperativa Facchini Riuniti di Ravenna. Ci racconta che nonostante tutto le false cooperative continuano a prosperare applicando tariffe impossibili da rispettare per chi applica contratti di lavoro e norme sulla sicurezza. «Basterebbero controlli più frequenti su contributi e buste paga, ma nessuno li fa»
«È un momento difficile per il settore del facchinaggio: esiste una concorrenza forte che pratica tariffe inferiori a quella stabilita in sede provinciale, che è pari a 18,72 all’ora, e per noi è difficile rispondere. Non siamo in grado di farlo perché siamo una cooperativa che rispetta le regole». Maurizio Bondi, da pochi mesi nuovo presidente di Cofari – Cooperativa Facchini Riuniti di Ravenna – così riassume le difficoltà che sta affrontando la sua impresa, che hanno alla base la nascita e la diffusione delle cosiddette “cooperative spurie”, una questione sulla quale Legacoop Romagna è impegnata in una battaglia di sensibilizzazione, con una raccolta di firme iniziata a maggio. In Cofari dal 1983, Bondi ha iniziato a operare nel settore del facchinaggio nel 1977, subito dopo il diploma; nel 1983 la cooperativa di cui era socio, la Cfr, si è fusa con Cofari, per la quale, prima di diventare presidente, ha ricoperto il ruolo di vicepresidente e si è occupato dell’ufficio avviamento e del personale.
Le cooperartive spurie/false continuano a essere una spina nel fianco per la Cofari e le altre aziende del settore. Quali risposte vi aspettate dagli organismi di controllo?
Sarebbe opportuno che venissero effettuati controlli più approfonditi e magari anche più frequenti sul versamento dei contributi, sulla composizione della busta paga, sulla definizione del monte ore che ogni lavoratore è chiamato a rispettare, sulla presenza di attività di formazione, sulle modalità di pagamento, compresi gli straordinari per le trasferte, e sulla sicurezza sul lavoro. Sono tutti obblighi che Cofari rispetta e che, per potere operare all’interno della legge, non le permettono di applicare tariffe identiche a quelle offerte dalle cooperative spurie.
Parliamo un po’ di Cofari, la cooperativa di cui è stato eletto presidente a giugno.
La cooperativa si trova a gestire una fase delicata: negli ultimi 5-6 anni il fatturato è calato del 25-30 per cento, stabilizzandosi sui 10 milioni di euro. È un fenomeno dovuto anche alla perdita di appalti importanti per le ragioni che spiegavo sopra. E anche il numero di soci e dipendenti si è ridotto: ora i primi sono 243 mentre i dipendenti sono 4. Per fronteggiare al meglio la crisi tre anni fa è stato deciso di procedere a un aumento di capitale sociale pari a cinquemila euro per ogni socio. L’aumento della liquidità delle cooperativa è stato in pratica una scelta obbligata a causa dei tempi di pagamento dei nostri committenti, che si stanno allungando sempre di più, anche fino a quattro/cinque mesi: questa situazione ci costringe a fare ricorso al credito per potere garantire le buste paga ogni mese e a essere “coperti” dal capitale sociale.
Cofari sta quindi subendo la crisi che ha colpito i settori ai quali offre i propri servizi?
Infatti, pensiamo solo al settore dei traslochi, che comunque riguarda una percentuale minore dell’attività della cooperativa, direi non più del 10 per cento. In questo momento sta subendo di riflesso la crisi ormai strutturale delle costruzioni e del mercato immobiliare.
Qual è invece l’ambito in cui Cofari produce maggiore fatturato?
Lavoriamo soprattutto nella zona del Porto di Ravenna, garantendo servizi alle imprese terminaliste: mi riferisco al facchinaggio post-portuale, cioè con personale palista, carrellista e carropontista. Sono competenze sempre più specialistiche che richiedono un lavoro accurato di formazione: in ambito portuale ormai non si richiede più a un operatore di possedere una sola competenza. Le cooperative di facchinaggio che vogliono fare le cose per bene debbono avere personale flessibile e in grado di svolgere attività diverse a seconda dell’esigenza del committente: può quindi essere impiegato all’uso del carrello, della pala o del carroponte ecc.
Avete deciso una strategia per riconquistare fette di mercato?
Stiamo cercando di invertire la tendenza perché il fatturato ricominci a crescere. Per fare questo però abbiamo bisogno che il porto di Ravenna si sviluppi. Per capirci, il terminalisti portuali ci richiedono flessibilità e le richieste possono passare da pochi operatori a richiederne anche venti a seconda delle navi che stanno sbarcando, ma questa non è una situazione stabile e noi subiamo gli alti e bassi di questa attività portuale. Per questo seguiamo con attenzione le vicende dello scalo marittimo: a cominciare dall’approfondimento dei fondali che ora sono insufficienti per fare entrare navi di grandi dimensioni, le più interessanti dal punto di vista dell’operatività terminalistica e di una cooperativa come Cofari.
E le altre attività collegate al porto?
Il settore dei cereali è quello più stabile, ma il nostro personale opera anche nei materiali ferrosi, nei legnami, nei fertilizzanti e nei mangimi, anche gestendo magazzinaggio per conto terzi.
Il futuro cosa può riservare per Cofari?
Per continuare a essere competitivi come siamo ora vorremmo sviluppare la sezione traslochi e allargarci territorialmente. E intanto abbiamo iniziato a collaborare con altre realtà locali che hanno magazzini di logistica. Un altro elemento della nostra strategia è cercare di recuperare attività che ci vedevano attivi in passato ma che poi abbiamo perso.
a cura di Paolo Pingani (dal numero 10/2015 del mensile “La Romagna Cooperativa”)
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