L’economia del mondo contadino negli anni ‘50 era perfettamente uguale a quella di un’azienda di oggi. Ogni contadino infatti gestiva un resoconto annuale (oggi si dice conto economico) fatto di entrate (i ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti: frutta, vino, grano…) e di uscite (costi dovuti alla parte che si doveva dare al padrone, ai mangimi per nutrire gli animali, alle spese per la casa, ai costi dovuti a fornitori diversi…). Alla fine dell’anno c’era un utile (poche volte) o una perdita (spesso). La perdita veniva coperta da un debito con il padrone, nel senso che al padrone non veniva dato in contanti tutto ciò che doveva avere, ma una parte veniva segnata come ‘’da dare’’.
Era un debito che sarebbe stato estinto negli anni successivi se le cose fossero andate meglio. Nel caso di un debito alto, quando si vendeva una mucca, il padrone si tratteneva anche la parte del contadino per ridurre il debito contratto. Ho parlato di fornitori diversi nel senso che attorno al contadino ruotavano artigiani diversi che fornivano le loro prestazioni a fronte di denaro o scambi in natura. Per esempio e spranghin (l’uomo che accomodava le teglie ed i tegami di terracotta). Vi erano poi alcuni personaggi che si presentavano per chiedere senza fornire alcun servizio. Alcuni erano simpatici ed amati altri erano temuti. Ricordo per esempio e frè zarcanton (il frate che chiedeva l’elemosina). Era molto magro, aveva la barba molto lunga ed i sandali ai piedi. Veniva a casa nostra due volte all’anno, dopo la trebbiatura del grano e dopo la vendemmia. Mio babbo lo accoglieva con molto calore e gli offriva subito (come i contadini facevano con tutti i forestieri) un bicchier di sangiovese. Il frate rifiutava ed allora veniva invitato in cucina dove mia mamma tagliava due fette di salame e gliele offriva in mezzo a due quadretti di piadina .In campagna le donne facevano la piadina due volte al giorno (alla mattina ed alla sera). Il frate mangiava come un spre’ (un disperato) e quindi beveva. Anzi, fra lui e mio babbo se ne andava un fiasco di sangiovese. Il frate ripartiva a piedi con la bisaccia più pesante, aveva qualche chilo di grano in più, qualche uova, un fiasco di vino. Mio babbo che aveva un grande senso dell’ironia gli diceva : non andare dalla Gavardena (era la vedova del contadino Gavarden) che è vedova e la tselta a dos (ti salta addosso). Ma ritorniamo al nostro spranghin. Si chiamava e zupazz (lo zoppo). Gli mancavano entrambe le gambe, dal ginocchio in giù, perdute durante la guerra. Era molto povero e viveva con la famiglia (moglie e tre figli) in te cambaron dla roca (Nella rocca di Cesena dove oggi ci sono gli uffici del Comune, c’erano dei grandi cameroni dove vivevano i più poveri). Visitava le case dei contadini seduto sul suo carretto trainato dalla breca Rusina (l’asino femmina aveva sempre un nome, l’asino maschio era semplicemente e sumar). E zupazz era veramente un artista, aveva tutti gli strumenti del mestiere : un piccolo trapano a mano, le tenaglie e la spranga. I contadini gli facevano accomodare le teglie rotte, i tegami di terracotta crepati. Ritornavano come nuovi con le tracce della cucitura con la spranga. Aggiustava anche gli ombrelli rotti. In cambio riceveva le uova, un fiasco di vino, un po’ di farina a seconda del lavoro fatto. Quando era mezzogiorno, in cambio, semplicemente mangiava con la famiglia del contadino dove si trovava.
di FIorenzo Barzanti
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