Aspettando il suo intervento alla Settimana del Buon Vivere 2013, la nutrizionista Sara Farnetti ci racconta l’importanza della curiosità, dello studio e del chiedersi perché.
ED: Sara, il tuo curriculum ti descrive come una persona tenace e motivata da forti passioni e interessi; sei infatti stata una delle interniste più giovani, investendo sulla tua carriera professionale fin dai tuoi vent’anni. Ci puoi raccontare le tue emozioni e riflessioni nel momento in cui sei entrata a far parte di questo settore?
SF: Io nasco curiosa, mi piace pensare che ciò con cui ho a che fare sia sempre una possibilità in più per apprendere; perciò mi dico sempre di utilizzare al meglio ciò che ho a disposizione.
Fin da piccola ho avuto un debole per i motori; andavo spesso ai gran premi grazie ad un’amica nel settore. Forse è per questo motivo che ho una passione anche per il corpo umano e il suo funzionamento.
In più ho avuto la fortuna di incontrare persone con un’attitudine speculativa simile alla mia, persone che sono state dei modelli di riferimento. Con attitudine speculativa intendo l’attenzione alla causa, all’eziologia del disturbo, alla sua ragione piuttosto che ai rimedi curativi. Molta medicina si occupa invece della cura: se il problema è il mal di testa ci sono dottori pronti a consigliare la medicina con cui combattere il dolore. Io invece vengo da quella scuola che riflette sulla guarigione più che sulla cura. Aiuto il paziente a chiedersi il perché del suo mal di testa, non gli dico come lo può curare.
ED: La tua tesi di laurea è stata una ricerca sul morbo della celiachia; c’è una particolare motivazione a questo tuo interesse? Ora, come mai prima, anche l’Italia sta iniziando a essere più sensibile al tema (ad esempio sono sempre più disponibili prodotti gluten-free), quando precedentemente molte persone non sapevano nemmeno il significato della parola celiachia.
SF: Lo studio del morbo della celiachia è un filone molto ampio: attraverso questa malattia è infatti possibile interpretarne altre. Penso che il mio interesse verso la celiachia sia proprio dovuto a questo suo rappresentare un modello di indagine. La tua riflessione sull’attenzione crescente al cibo non ha però direttamente a che fare con il morbo, ma con ciò che è definibile come la risoluzione del finto: si tratta di cosa fare per aiutare il celiaco a gestire la sua malattia. I prodotti nei bar vanno sì incontro alle esigenze del caso, ma non hanno nessuna caratterizzazione medica.
Si devono ancora fare molti passi in avanti per quanto riguarda i prodotti gluten-free, sia in Italia sia nel resto del mondo. Il problema che si presenta senza limiti geografici è che questi sono tutti alimenti dall’alto tasso glicemico; in più il mercato prevede un servizio generalizzato che cerca di essere il più accettabile possibile, quando invece la terapia dovrebbe essere considerata come il lavoro di uno stylist, ovvero un servizio personalizzato e fatto su misura per il cliente.
ED: So che hai vari progetti di lavoro anche all’estero, noti molte differenze tra il nostro paese e il resto del mondo a livello di consapevolezza alimentare?
SF: Sì, possiamo dire che in Italia c’è più consapevolezza alimentare. Bisogna stare attenti però, perché ciò non significa che la situazione resterà per sempre immutata. È importante non dare per scontato nulla: così come lo scenario è cambiato nel corso degli anni, può ancora modificarsi in meglio o in peggio.
Noi italiani siamo per così dire fortunati, da noi quasi l’80% dei prodotti sono biologici; il cibo qui è un fatto culturale, si cresce con la consapevolezza che certe abitudini sono corrette, mentre altre sbagliate. All’estero invece, negli Stati Uniti per esempio, le persone, probabilmente per sopperire a una mancanza culturale di partenza, imparano come rapportarsi al cibo attraverso interesse e studi sistematici. Fanno ricerca su cosa sia un’alimentazione sana.
Ovviamente vedono l’Italia come una scuola, un interessante polo attrattivo; basti pensare a come adorano il made in Italy, quando invece da noi sembra facile dimenticarsene. Noi compriamo le prugne della California, in America adorano la frutta secca siciliana. Si tratta quindi di affiancare conoscenza e attenzione contemporaneamente, patrimonio culturale e ricerca al passo con i tempi.
ED: Quali sono i più errati luoghi comuni che il tuo regime funzionale va a colpire? Immagino che per contrastare nozioni comunemente considerate verità indiscutibili bisogna mettere in atto una sorta di piccola rivoluzione culturale, attraverso cui si insegna a ripensare ciò che è stato fino ad ora dato per scontato.
SF: Più che di rivoluzione, parlerei di maieutica: credo che si tratti di far venire di nuovo alla luce qualcosa che già c’è o sapevamo, ma che stili di vita errati e stereotipi omologanti ci hanno fatto dimenticare. Secondo me, non c’è nulla di più naturale di un regime alimentare funzionale, tale perchè segue la fisiologia umana. L’obiettivo a cui aspiro è far godere il corpo umano di ottima salute, il che significa che tutti gli organi devono essere nella condizione per lavorare in maniera ottimale. È errato pensare che se si mangia meno, o si depura solo il pancreas, si dimagrisce. Un’attenzione esclusiva a un solo organo porta a ignorare il resto del ‘motore’ e così si provocano danni involontariamente. Per esempio, una dieta che aiuta il pancreas può avere effetti negativi su fegato e reni. Io credo invece nella necessità di un approccio olistico, attento alle relazioni tra le varie parti che costituiscono il nostro ‘motore’.
ED: Se dovessi dare tre consigli alimentari alla donne lavoratrici, magari madri, spesso stressate da un sovraccarico professione ed emotivo, quali sarebbero?
SF: Il cibo va sempre rapportato allo stile di vita. Se l’obiettivo è resistere allo stress, il primo consiglio sarà ovviamente non aggiungere altro stress metabolico; è importante non mangiare a orari troppo diversi, cercando di variare al massimo di un’ora, un’ora e mezza. Fondamentale è anche non saltare mai completamente i pranzi. Inoltre, cercare di dormire lo stesso numero di ore: non importa se tante o poche, l’importante è non sconvolgere il ritmo sveglia/sonno. Come secondo consiglio, suggerirei di evitare completamente qualsiasi junk food; concludo ricordando di non abusare di zuccheri dal momento che l’insulina è una delle cause principali dell’aumento di peso.
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