Crisi e consumi, niente sarà più come prima – di Davide Buratti

Ha ragione Paolo Lucchi. Nella sua pagina di Facebook, il sindaco di Cesena, ha postato una riflessione su crisi e consumi. Scrive, fra l’altro: “E se questa infinita crisi economica ci avesse consegnato anche uno stile di vita diverso? E se ci stessimo abituando, riscoprendo uno stile proprio delle nostre famiglie, almeno fino agli anni Ottanta, a consumare di meno, ad acquistare ogni tanto riflettendo, a vergognarci dello spreco e del consumismo ad oltranza come unica unità di misura del nostro equilibrio fisico e mentale”.

Frasi sensate. Del resto dobbiamo avere il coraggio di dirci che questa crisi, dalla quale dobbiamo ancora uscire, ci lascia un monito: nulla sarà più come prima. Questo non vuol dire farsi prendere dal pessimismo o, addirittura, dalla depressione. Ma rendersi conto che è necessario vedere la vita in un’ottica diversa.

Nei giorni scorsi ho incontrato, per caso, un amico imprenditore che, della situazione della sua azienda, ha fatto un’analisi molto cruda, ma perfettamente lucida. “Dall’inizio della crisi – ha detto – il fatturato della mia azienda è diminuito della metà. Dei quattordici dipendenti che avevo, tre li ho dovuti licenziare e ad altri tre ho chiesto di aprire la partita Iva. Ho cercato nuovi mercati. In alcuni casi è andata bene, in altri meno. La strada sarà lunga e difficile, ma da qui riparto. Ai livelli precrisi non penso. È inutile pensare ad una situazione che non tornerà”.

Su questo ormai in moltissimi sono consapevoli. Il problema è un altro. Se siamo arrivati a questa situazione è perché per tanto, troppo tempo, abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e, di conseguenza abbiamo creato un sistema pubblico in linea con le nostre abitudini. Si tuazione che ha provocato un altissimo costo degli interessi che sono il vero problema del sistema Italia che ha un avanzo primario buono. Ma i conti pubblici poi fanno tilt quando arrivano le cedole degli interessi. Nello stesso tempo il famoso pil non decolla perché la capacità di spesa è diminuita, se non altro  perché in Italia ci sono circa tre milioni di disoccupati in più.

Il rischio quindi è quello di trovarsi di fronte ad un cane che si morde la coda. Se ne può uscire solo con la politica dei piccoli passi: da una parte le riforme, dall’altra investimenti che rimettano in moto l’economia e possano creare nuovi posti di lavoro. La Orte Mestre (nuova E45), ad esempio, è un’opera subito cantierabile e che potrebbe portare grossi benefici al nostro  territorio. E’ anche chiaro che per raggiungere questi obiettivi è necessaria, da parte dell’Europa, quella flessibilità sollecitata ormai da tantissime parti.

Nello stesso tempo la politica deve preoccuparsi di non lasciare nessuno per strada, partendo da chi ha perso il posto di lavoro. Il rischio, sempre latente, è di creare un  sistemna dove aumenta la forbice fra povero e ricco. E’ una china già cominciata, se proseguisse avrebbe effetti devastanti.

 

Ha ragione Paolo Lucchi. Nella sua pagina di Facebook, il sindaco di Cesena, ha postato una riflessione su crisi e consumi. Scrive, fra l’altro: “E se questa infinita crisi economica ci avesse consegnato anche uno stile di vita diverso? E se ci stessimo abituando, riscoprendo uno stile proprio delle nostre famiglie, almeno fino agli anni Ottanta, a consumare di meno, ad acquistare ogni tanto riflettendo, a vergognarci dello spreco e del consumismo ad oltranza come unica unità di misura del nostro equilibrio fisico e mentale”.

Frasi sensate. Del resto dobbiamo avere il coraggio di dirci che questa crisi, dalla quale dobbiamo ancora uscire, ci lascia un monito: nulla sarà più come prima. Questo non vuol dire farsi prendere dal pessimismo o, addirittura, dalla depressione. Ma rendersi conto che è necessario vedere la vita in un’ottica diversa.

Nei giorni scorsi ho incontrato, per caso, un amico imprenditore che, della situazione della sua azienda, ha fatto un’analisi molto cruda, ma perfettamente lucida. “Dall’inizio della crisi – ha detto – il fatturato della mia azienda è diminuito della metà. Dei quattordici dipendentiche avevo  tre li ho dovuti licenziare e ad altri tre ho chiesto di aprire la partita Iva. Ho cercato nuovi mercati. In alcuni casi è andata bene, in altri meno. La strada sarà lunga e difficile, ma da qui riparto. Ai livelli precrisi non penso. E’ inutile pensare ad una situazione che non tornerà”.

Su questo ormai in moltissimi sono consapevoli. Il problema è un altro. Se siamo arrivati a questa situazione è perché per tanto, troppo tempo, abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e, di conseguenza abbiamo creato un sistema pubblico in linea con le nostre abitudini. Si tuazione che ha provocato un altissimo costo degli interessi che sono il vero problema del sistema Italia che ha un avanzo primario buono. Ma i conti pubblici poi fanno tilt quando arrivano le cedole degli interessi. Nello stesso tempo il famoso pil non decolla perché la capacità di spesa è diminuita, se non altro  perché in Italia ci sono circa tre milioni di disoccupati in più.

Il rischio quindi è quello di trovarsi di fronte ad un cane che si morde la coda. Se ne può uscire solo con la politica dei piccoli passi: da una parte le riforme, dall’altra investimenti che rimettano in moto l’economia e possano creare nuovi posti di lavoro. La Orte Mestre (nuova E45), ad esempio, è un’opera subito cantierabile e che potrebbe portare grossi benefici al nostro  territorio. E’ anche chiaro che per raggiungere questi obiettivi è necessaria, da parte dell’Europa, quella flessibilità sollecitata ormai da tantissime parti.

Nello stesso tempo la politica deve preoccuparsi di non lasciare nessuno per strada, partendo da chi ha perso il posto di lavoro. Il rischio, sempre latente, è di creare un  sistemna dove aumenta la forbice fra povero e ricco. E’ una china già cominciata, se proseguisse avrebbe effetti devastanti.

 

DAVIDE BURATTI

 

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