Sono un lettore di giornali. Soprattutto un lettore di giornali locali. Sia per curiosità che per piacere; sia perché considero questa attività un indispensabile ‘ferro del mestiere’ per l’ amministratore pubblico. Più volte, negli ultimi 10 anni, è stata decretata da più parti l’ imminente fine del giornalismo su carta, incalzato dalla marea montante del web e dei social network, con tutta la mistica dell’ informazione ‘più libera’ perché non ‘mediata’. Discorsi nobili che poi devono fare i conti con la realtà: spesso mi chiedo se ‘più libero’ sia espressione sovrapponibile o sinonimo di offesa e insulto. Quello, ad esempio, che non può fare una testata giornalistica perché sottoposta a leggi e a codici deontologici rigorosi, e tesi a distinguere bene tra la critica e ‘fallo da frustrazione’.
Questa è l’ era che deve fare i conti con la più grande massa di ‘trasmissione di notizie’ liberamente circolante in tempo reale della storia umana. Eppure resta ancora una volta irrisolta la domanda di fondo: ‘come’ fare buona e corretta informazione?
Anzi, suonerà paradossale, ma oggi gli interrogativi aumentano piuttosto che diminuire, a confutare il mito di una quantità che avrebbe dovuto fisiologicamente trascinare in alto la qualità giornalistica. Non è dunque un semplice problema di diffusione ma di consapevolezza e responsabilità di chi, ogni giorno, sceglie per passione e lavoro di interpretare il mondo e descriverlo. In soldoni, più che di informazione c’ è bisogno di buona informazione. E buona informazione non significa far parlare la pancia con la scusa della ‘libertà’ ma verificare, approfondire, comparare, studiare. I veri giornali lo fanno.
Possono sbagliare ma con coscienza e amore per il mestiere lo fanno. E sono tanto più convinti di farlo quanto più sono liberi, ovvero non sottoposti alle pressioni di qualsiasi soggetto che usi la penna e il foglio stampato per un interesse diverso dal lettore. L’ editore puro è una sorta di utopia, si dice, ormai da decenni. E non solo in Italia. Il senso originario dell’ intervento governativo in ambito editoriale risiede(va) proprio in questo anfratto: cercare di arginare il tentativo di grandi gruppi o tycoon miliardari di fare dei giornali e delle tivù strumenti di pressioni indebite o addirittura consenso personale. Quell’ inter vento era ed è un’ affermazione di democrazia; una maniera per ribadire come l’ informazione giornalistica libera e pura sia ancora possibile. Purtroppo, anche in questo caso, sprechi, stravolgimenti, storture hanno condotto un provvedimento dalla motivazione nobile in una secca pericolosa. E adesso non è facile virare la rotta. Io credo e sostengo ancor oggi con forza la necessità di un’ informazione pura, libera da condizionamenti, non esclusivo appannaggio di poteri forti a tutto interessati tranne che a condividere i fatti.
E credo e sostengo soprattutto il ruolo degli editori puri, delle operazioni giornalistiche vere, che si trovano anche (soprattutto) in ambito locale, e che devono trovare spazio e supporto nello spirito originario di leggi dall’ intento condivisibile. C’ è bisogno di buona informazione, c’ è bisogno di informazione slegata da interessi ‘altri’, c’ è bisogno di buoni giornalisti. Per questo il Governo deve scindere il grano dal loglio e separare le storture e le furbizie dalle iniziative d’ informazione vere. Azzerare il sostegno sarebbe come dare un colpo mortale alla buona stampa e alla buona informazione. Io come lettore e amministratore non lo posso accettare.
Farò in modo, in sinergia con sindaci e parlamentari del nostro territorio, di portare queste posizioni all’ attenzione del Parlamento.
Andrea Gnassi
Sindaco di Rimini
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