Giorni decisivi per l’editoria no profit. Martedì, a Roma, si terrà l’incontro convocato da Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, per presentare la riforma che ha in mente il governo. Prima, però, dovrà essere fatta chiarezza sui contributi, quelli tagliati in forma retroattiva e che rischiano di mettere in ginocchio un intero comparto.
Prima di tutto cerchiamo di fare chiarezza. Fino a sei anni fa i contributi all’editoria pesavano per oltre cinquecento milioni di euro. Per il 2013 (ultimo anno finanziato) sono stati pagati meno di quarantacinque milioni quando ne sarebbero serviti almeno settanta.
Quindi stiamo parlando di cifre non solo irrisorie per il bilancio dello Stato, ma che, di fatto, comunque non pesano sulle casse italiane. Il ritorno (sottoforma di tassazione) è pari, se non maggiore rispetto a quello che lo Stato paga. Soldi che Roma non incasserebbe se le aziende morissero.
Luca Lotti, che fino ad ora ha mostrato di essere operativo e affidabile, ha detto di voler presentare una riforma organica. L’intenzione non solo va apprezzata, ma anche applaudita. Sono anni che le imprese cooperative la chiedono, a gran voce. Prima però deve fare chiarezza sul passato. Il problema non sono i tagli di per se stessi, ma il fatto che sono stati retroattivi a causa di un particolare combinato disposto. Prendiamo il 2014. Sarà pagato a fine 2015, ma le aziende avevano impostato il budget su quanto previsto dal Def. Però a fine 2014, ovvero quando tutti i soldi erano stati spesi, la legge di stabilità ha previsto un taglio di circa il settanta per cento. Il che, per aziende piccole e sotto capitalizzate, significa chiudere. Sia per mancanza di liquidità che per un aspetto puramente contabile: nella stragrande maggioranza dei casi la sopravvenienza passiva è tale da mangiarsi un capitale sociale già ridotto all’osso dall’identica manovra fatta nel 2014 sulle competenze 2013.
Il governo ne è consapevole e ha detto di voler porre rimedio. L’intenzione è stata manifestata con un lettera firmata da Lotti e inviata alle associazioni che partecipano alla trattativa. “Non lasceremo indietro nessuno” garantisce Lotti. Ma quella lettera alle banche non basta. “Va bene per fare un articolo non per ottenere un affidamento” ha risposto, seccamente, il direttore di un istituto di credito al presidente di una cooperativa editoriale.
È per quello che martedì serve un atto netto, univoco e ufficiale. Ci sarà? La speranza è che arrivi. Del resto quella è l’ultima chiamata. Entro la fine della prossima settimana dovranno essere chiusi i bilanci e dovrà essere fatta chiarezza sulla voce provvidenze all’editoria.
Poi si potrà parlare di riforma. Se non ci saranno quei soldi la riforma sarà inutile in quanto il settore no profit sarà quasi inesistente a discapito anche della libertà di stampa. Ad essere colpiti, infatti, saranno quelle piccole realtà che garantiscono l’informazione provinciale. Se spariranno il mondo dell’editoria resterà in mano solo ai grandi giornali che fanno capo ai grandi gruppi industriali. Gli stessi giornali che, giustamente (visti i numeri), hanno monopolizzato i fondi per i prepensionamenti previsti dal governo e che sono spalmati su cinque anni. Nulla osta, però, che vengano concentrati in un periodo più breve e, poi, rifinanziati in futuro.
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Le giuste osservazioni del collega Davide Buratti sul tempo ormai in scadenza per salvare le testate edite da cooperative e associazioni non profit mi fanno aggiungere che sarebbe un grave colpo all’immagine di Renzi, di Lotti e del Governo se proprio in questo periodo si facesse cadere la mannaia su un settore che garantisce il pluralismo dell’informazione. Spero che la riunione di martedì vada in porto perché altrimenti le conseguenze saranno gravi non solo per editori, giornalisti, collaboratori e poligrafici di questo comparto ma soprattutto perché dimostrerebbe come il governo Renzi non è in grado di dare alcuna soluzione alla crisi. Peggio si renderebbe corresponsabile del fallimento della libertà di informazione e della garanzia costituzionale prevista all’articolo 21. Staremo a vedere.