Impietoso rapporto Ocse: l'Italia rischia di diventare un paese di solo emigrazione. Uno studio Bnl dimostra l'importanza e la redditività degli investimenti pubblici
L’Italia rischia di ridiventare un paese di sola emigrazione, perdendo così il ruolo che si è guadagnata negli anni nel mercato del lavoro e assumendo una posizione del tutto periferica rispetto allo scenario internazionale. Lo scrive Affaritaliani che riporta il parere di Ugo Melchionda, presidente di Idos, registrato nel corso della presentazione di un approfondimento sul dossier dell’Ocse. È emerso, fra l’altro, che negli ultimi anni cresce il numero degli italiani che lasciano il paese.
Ad andarsene sono soprattutto i giovani, oltre il 50 per cento sono diplomati o laureati. Il fenomeno è iniziato nel 2008, dopo l’inizio della crisi. E il dato che emerge è implacabile: se continua questa tendenza ridiventeremo un paese a emigrazione netta. Il rischio poi è perdere il ruolo che ci siamo conquistati nel mercato mondiale negli ultimi anni per tornare ad essere di nuovo un paese periferico in cui nessuno ha più interesse a venire. Secondo il rapporto Ocse il numero delle cancellazioni dall’anagrafe per l’estero, sono arrivate nel 2015 a 145 mila: l’otto per cento in più rispetto al 2014. Ora gli italiani registrati come residenti all’estero sono 5.200.000.
Sono numeri impietosi che dimostrano tutto il malessere che c’è fra le giovani generazioni, e va oltre il quaranta per cento di disoccupazione giovanile. C’è un sentimento di impotenza e nella maggior parte di loro c’è la percezione di non poter far nulla di veramente significativo per modificare la realtà o il corso degli eventi. Il problema è che non è facile uscirne. Nel luglio scorso la Regione ha fatto un piano che mette a disposizione 640 mila euro. Tra le novità un percorso di formazione e un nuovo portale web. Un’iniziativa buona. Come buono è il progetto di alternanza scuola/lavoro. Buone iniziative, ma quasi una goccia nel mare.
Il vero problema è che manca il lavoro è che con una crescita dell’un per cento all’anno (decimale più, decimale meno) continuerà a latitare. l’Italia è in una spirale economica negativa che non riesce a rompere. Per far ripartire la crescita servirebbe contestualmente una politica espansiva fatta di minori tasse e investimenti pubblici.
Molto delicato è il tema degli investimenti pubblici. Lo attesta anche un reportage della Bnl datato 2014, ma ancora attuale. Nelle conclusioni si legge, fra l’altro: la ripresa degli investimenti pubblici assume dunque un’importanza strategica. Il Fondo monetario internazionale vi ha dedicato un intero capitolo del World Economic Outlook. In un paese avanzato un aumento nell’ordine di un punto percentuale di Pil degli investimenti pubblici si accompagnerebbe ad una maggiore crescita economica prossima al mezzo punto percentuale nel primo anno, per poi raggiungere l’1,5% nel quarto. Gli effetti sulla crescita sarebbero maggiori se gli investimenti fossero finanziati con nuovo debito. Inoltre è sottolineato come un aumento degli investimenti produrrebbe effetti più consistenti nel caso di un paese con una bassa crescita. Lo studio attenua, inoltre, le preoccupazioni per l’impatto che un’operazione di questo tipo potrebbe avere sui conti pubblici. Viene sottolineato come un aumento degli investimenti porterebbe anche ad una riduzione del rapporto debito/Pil, grazie alla maggiore spinta che ne deriverebbe per la crescita economica.
L’aumento degli investimenti pubblici sembra – continua la relazione conclusiva -, dunque, essere la misura più idonea per favorire il ritorno alla crescita dell’economia italiana. C’è, però, un altro aspetto, adeguatamente sottolineato, che deve essere ricordato: il positivo effetto che la spesa pubblica può avere dipende dall’efficienza dei nuovi investimenti, che influenza sia i risultati ottenuti come maggiore crescita nel breve periodo sia l’ampiezza della spinta fornita alle potenzialità future di sviluppo dell’economia. Dall’efficienza degli investimenti dipende anche la tenuta dei conti. In modo particolare nei paesi con un alto debito la reazione dei mercati ad una politica di aumento della spesa pubblica, misurata in termini di maggior costo richiesto per il finanziamento del debito, tiene conto di come i soldi pubblici vengono spesi e di cosa ci si può realmente attendere da questi interventi.
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