Appuntamento speciale di Eureka con Massimo Romano. E se l'evoluzione fosse frutto anche di cooperazione e non di competizione? La teoria di Lynn Margulis suggerisce uno sguardo nuovo.
Se Darwin piange, l’uomo potrebbe ridere? Non c’è una risposta univoca probabilmente, ma uno sguardo nuovo alla teoria dell’evoluzione può suggerire spunti interessanti. E se la vita si fosse affermata anche per una dinamica cooperativa? La redazione di Eureka vi propone la riflessione di Massimo Romano, membro della redazione.
Siamo abituati a pensare ad un’evoluzione della vita in cui il più forte prevale sul più debole. Questa deformazione darwinistica nell’approccio alla vita e all’evoluzione è quella dominante in virtù di ampie rassicurazioni scientifiche ormai sedimentate. La sua influenza è stata tale da colonizzare anche le scienze sociali, favorendo non solo un’interpretazione della vita biologica, ma anche sociale interamente sacrificata alla logica della forza. Ma se alla base dell’evoluzione non ci fosse un meccanismo competitivo, una costante prova di forza? E se la cornice interpretativa in cui abbiamo concepito l’evoluzione, e quindi la sostanza stessa della vita e delle società, fosse un’altra?
Lynn Margulis propone un’altra chiave, formalizzata a partire con l’opera “Symbiosis in Cell Evolution” pubblicata nel 1981: non sarebbe stata la sopravvivenza del più idoneo a guidare tutto il processo evolutivo, bensì una dinamica cooperativa. Secondo la Margullis, la vita non avrebbe preso il sopravvento soltanto con la lotta, bensì istituendo interrelazioni. L’idea di un’evoluzione come competizione cruenta per la sopravvivenza del più idoneo, nell’idea di Margulis, andrebbe radicalmente ripensata. La vita si sarebbe affermata in un processo di cooperazione continua, di interazione e di interdipendenza reciproca fra le varie forme di vita. La vita non avrebbe preso il sopravvento con la lotta, bensì tessendo relazioni. Le forme di vita si sono moltiplicate ed evolute entrando in relazione con le altre anche per cooptazione, non solo tramite l’estinzione del più debole.
Questo sguardo nuovo sulla vita e sull’evoluzione, che ha una sua cittadinanza nel dibattito scientifico, ci interroga profondamente sul concetto stesso di vita che il darwinismo ha imposto. Un concetto di vita e di vita sociale come eterna competizione e lotta fratricida in un ambiente ostile. Un modello che ha delle traduzioni economiche, politiche e culturali che testimoniano un vulnus lungo se non quanto la vita, almeno quanto la storia dell’uomo: un uomo che tesse un ambiente che non è a propria misura.
Come ci suggerisce Dante Basili: «In cinese Yin e Yang si pronunciano insieme: yin yang. Ed è giusto che la legge della competizione stia a braccetto con quella della cooperazione.Affermare che la vita è competizione, una dura lotta per la sopravvivenza, è vedere solo una metà del cielo».
Ma se la teoria competitiva dell’evoluzione venisse almeno parzialmente rivista, e scoprissimo che la vita è frutto di cooperazione, interrelazione, interdipendenza reciproca, non sarebbe proprio l’occasione per rimettere al centro il modello cooperativo come alternativa anzitutto culturale ad un mondo fratricida? Non sarebbe l’occasione per riportare l’uomo a misura d’uomo?
Promuovere l’agire cooperativo non è soltanto un obiettivo economico: fa tornare l’uomo alle radici stesse della vita. Iniziative come quella del bando Coopstartup vanno proprio in questa direzione.
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