Lucida analisi di Stefano Bernacci su Energie Nuove. Suggerisce di pensare ad un nuovo modello di sviluppo e torna a spingere sul tasto della coesione sociale e della responsabilità sociale. Ma rifiuta soluzioni cotte e mangiate
Ancora un’analisi molto lucida da parte di Stefano Bernacci. Il segretario di Confartigianato l’ha fatta sull’ultimo numero di Energie Nuove. Un intervento che, da parte mia, è totalmente condivisibile. A partire dall’analisi che si è perso il gusto del confronto.
“Siamo così tanto condizionati dalla società della comunicazione veloce – scrive Bernacci -, della semplificazione dei messaggi e della polemica fine a se stessa che abbiamo ormai perso il gusto del confronto, dell’ascolto delle ragioni degli altri e della costruzione di percorsi condivisi”.
Poi si è tolto un sassolino dalla scarpa dicendosi sorpreso da coloro che hanno considerato una svolta epocale delle modalità di conduzione di uno dei principali partiti politici l’enunciazione del passaggio dall’io al noi. Cosa che dodici anni fa “insieme ad un gruppo di amici scegliemmo il noi come messaggio comunicativo per la campagna elettorale dell’amico Massimo Bulbi alla presidenza della Provincia di Forlì-Cesena”. Quando ci vuole, ci vuole.
Poi entra nel merito del suo intervento e si concentra sullo sviluppo del territorio. E rifiuta soluzioni cotte e mangiate. “È necessario riprenderci tempo, moda e luoghi adeguati per dibattere insieme su problemi le cui soluzioni quasi mai sono nella nostra piena disponibilità. Non bastano i luoghi virtuali dove attraverso i giornali e più spesso social network si conoscono le reciproche opinioni: un surrogato di dibattito”.
Giustamente ritiene che la coesione sociale sia uno dei fattori competitivi del nostro territorio, idea che porta avanti da tanto tempo. Per questo pensa vadano ridefiniti i metodi partecipativi. Poi entra nel merito: “Abbiamo Comuni alle prese con costanti e crescenti vincoli di bilancio, Unioni dei Comuni che non si capisce bene a cosa servano e fino a che punto favoriscono l’integrazione delle funzioni dei singoli Comuni, Province svuotate di compiti e risorse (ma con personale a carico) che rimangono in attesa di capire (e con loro i cittadini) quale senso potranno avere nell’architettura istituzionale della nostra regione e aree vaste il cui processo di costruzione si è fermato ai pur importanti risultati in materia di Sanità e trasporti. In questo caos istituzionale diventa difficile raccapezzarsi e trovare modalità di miglioramento della macchina pubblica che, pur essendo una delle migliori del nostro paese, necessita ugualmente di grossi interventi in materia di semplificazione burocratica e di efficienza”.
Poi chiede riflessioni e scelte mirate sul modello di sviluppo a partire dalla manifattura 4.0 che giocherà un ruolo fondamentale per la capacità competitiva del nostro sistema, ma che rischia di impoverire il nostro tessuto produttivo sul versante dell’occupazione. Quindi serve accompagnare questa fase di cambiamento. Bernacci suggerisce di aggiornare la visione rispetto alla stessa presenza universitaria in Romagna per capire se l’offerta formativa è adeguata alle sfide della nostra economia e come rafforzarne la presenza dal punto di vista didattico e del rapporto con il mondo delle imprese.
E aggiunge: “Ragionare sulla opportunità di un politecnico romagnolo o di una clinica universitaria legata all’area vasta potrebbero essere aspetti su cui rilanciare una attenzione verso uno dei principali strumenti a supporto del tessuto economico”.
Inoltre, partendo dal presupposto che la manifattura 4.0 porterà ad una diminuzione dell’attuale forza lavoro impiegata nelle imprese e alla creazione di nuovi profili professionali, di nuove funzioni, considera necessario interrogarsi anche sul piano locale su quale modello di sviluppo dovremmo contribuire a realizzare e sulle possibili politiche da intraprendere per coniugare dinamiche economiche, qualità della vita e benessere diffuso.
Bernacci ha ragione quando dice che “la crisi ha già funzionato da acceleratore del cambiamento in campo sociale ed economico: ha accentuato la frammentazione della società, ha aggravato gli squilibri che frenano lo sviluppo del nostro sistema (giovani disoccupati), ha
fatto emergere nuovi bisogni di sicurezza sociale che non trovano risposta nei grandi istituti tradizionali del welfare pubblico”.
Quindi: “Un’altra sfida riguarda il passaggio dalla responsabilità sociale dei singoli attori che operano in loco alla responsabilità sociale di territorio. Servono nuovi modelli di risocializzazione della comunità in un’ottica di sussidiarietà circolare, una comunità di senso capace di generare valore per sé e per gli altri, favorendo lo sviluppo e il consolidamento di nuovi legami”.
Non crede in un potere diretto degli enti locali né attribuisce loro particolari responsabilità in materia di politiche di sviluppo, ma è convinto che nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, regolamentari e di coordinamento delle competenze e delle esperienze territoriali in materia di educazione e sociale, possano svolgere un ruolo importante per il nostro futuro.
Ma a un patto: “Che si possano ricreare luoghi di partecipazione e dibattito per favorire la costruzione di ponti fra le diverse idee. Poiché di muri non sempre facilmente superabili ne abbiamo già troppi nella competizione globale”.
Questo post è stato letto 196 volte