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Il 2 agosto 1919 i forlivesi Tullo Morgagni e Luigi Ridolfi perdevano la vita in un tragico incidente aereo

Le circostanze che favorirono lo schianto e le storie dei due brillanti forlivesi, membri di quella che allora poteva essere definita la “Meglio Gioventù” italiana, farà parte del libro di prossima uscita “Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna” volume 2, scritto a quattro mani dal sottoscritto insieme a Gabriele Zelli, edito dalla casa editrice «Il Ponte Vecchio».

Quest’anno il Giro d’Italia ha festeggiato la centesima edizione e per onorare il suo principale ideatore, il giornalista Tullo Morgagni, nato a Forlì nel 1881, ha fatto tappa in Romagna. Non tutti sanno che Morgagni perse la vita, il 2 agosto 1919, in un tragico incidente aereo. Il disastro, uno dei primissimi dell’allora nascente aeronautica civile italiana, avvenne mentre il Caproni, guidato da un altro forlivese, il giovane e ardimentoso pilota Luigi Ridolfi, sorvolava il cielo di Verona, nel raid di prova Milano-Venezia-Milano.

«Nel Cielo», supplemento quindicinale del «Secolo Illustrato» – fondato il 24 dicembre 1917 col motto di “Più alto, più oltre” dallo stesso Tullo Morgagni – , raccontò come segue il fatale schianto in cui perse la vita il direttore della rivista.

«Nessuna parola può rendere adeguatamente la vasta tragicità della grande catastrofe su cui grava tuttora l’ombra di un mistero che forse nessuno potrà mai svelare. Contraddittorie, in parte, sono le testimonianze di coloro che hanno assistito alla terribile caduta e le ricerche dei competenti e dei tecnici per stabilirne le cause che rimangono tuttora nel campo delle ipotesi. La fatale disgrazia avvenne il giorno 2 scorso. Il “Ca. 600” che aveva compiuto pochi giorni prima il raid Milano-Torino e ritorno, e che nella mattinata aveva effettuato felicemente il viaggio da Milano a Venezia, doveva precipitare sulla rotta del ritorno, e precisamente all’altezza di Verona. Facevano parte dell’equipaggio, oltre i piloti Marco Resnati e Luigi Ridolfi, cinque giornalisti milanesi: il nostro compianto Direttore Tullio Morgagni, Tancredi Zanghieri, del «Secolo», Oreste Cipriani, del «Corriere della Sera», Mario Bruni della «Sera», Bisi del «Mondo»; gli altri passeggeri erano: il tenente Sante Rovida, l’industriale Giovanni Bernareggi, Carlo Corbetta, Giacono Casiraghi, Luigi Chiesura, Mario Bertolini, i motoristi Luigi Gascone e Guglielmo Visconti. Verso le 17, fu notata da molti cittadini la caduta dal cielo di larghi brandelli di tela, che ondeggiavano portati dal vento. Alla prima sensazione di sorpresa e di stupore succedette immediatamente il presagio di una sciagura aerea. I sospetti più tristi dovevano purtroppo avverarsi: il grande aeroplano “Caproni” che era passato al mattino, diretto a Venezia, librandosi vittoriosamente alto nella limpida atmosfera, era precipitato da un altezza di oltre mille metri, sfasciandosi, e travolgendo in un turbine di morte la vita di sedici passeggeri. Alcuni affermano che mentre le parti più fragili e più leggere si staccavano dall’apparecchio, la carlinga, i tronconi delle fusoliere e delle ali piombavano a precipizio verso la città, mentre guizzi di fiamme si sprigionavano dai motori. Tuttavia, la ipotesi di un incendio venne presto esclusa, essendosi constatato che i rottami di legno e di tela non recavano alcuna traccia di bruciatura. Dopo alcuni scoppi, uditi da terra, fu vista un ala del velivolo staccarsi, il corpo dell’apparecchio precipitare, e i passeggeri cadere successivamente nel vuoto. I resti del grande biplano si abbatterono in un raggio di 400 metri nei pressi di Porta Palio, e agli accorsi la tragedia si rivelò nel più terribile aspetto. I cadaveri dei disgraziati aviatori, martoriati vennero rinvenuti nei luoghi più diversi; avevano segnato nel terreno un’impronta profonda che ne accennava nitidamente la linea. Il corpo del nostro povero Direttore, veniva tosto riconosciuto, poco discosto dalla massa principale dei rottami, in mezzo ai quali giacevano, vicinissime, le spoglie dei piloti. Uno dei passeggeri era caduto nel canale industriale: venne tratto a riva esanime, da un cittadino. Il corpo del sedicesimo passeggero, tenente Giannetto Medini, salito a bordo a Venezia, e pure caduto nel canale, non venne che ripescato che parecchi giorni dopo. Quello di Giannetto Bisi non venne riconosciuta fra quelli dei caduti; né venne finora ritrovato. La visione del luogo della catastrofe non poteva offrire un contrasto più impressionante fra l’aspetto squallido della radura sulla quale gli sciagurati si erano abbattuti e i resti informi dispersi all’intorno. Sotto il terrapieno che limita da un lato il macabro campo, si stendeva l’enorme groviglio dei rottami principali della carlinga, dei tronconi, della coda, delle fusoliere, delle nervature, del carrello appiattito. Una ruota contro l’altra, pezzi informi di armature, tutto si presentava raccolto in uno stretto cerchio. Sull’orlo del terrapieno erano altri ammassi di resti e, sprofondato totalmente nel terreno, uno dei motori, i cui cilindri figuravano spaccati a metà, come tagliati da una scure gigante. Un secondo motore, parimenti sprofondato e non diverso nell’apparenza, ha scavato una buca profonda, dal lato opposto al prato, a forse cento metri di distanza. Il terzo è finito contro le siepi che limitano il campo, in un prato dietro le case allineate lungo la strada di Santa Lucia, a circa duecento metri. La folla, accorsa sul luogo, veniva trattenuta dai carabinieri. Poche ore dopo la fatale disgrazia, le salme degli aviatori venivano rimosse e riunite in una camera ardente».


 

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