Tagli all'editoria: intervento di Giuliano Zignani (Uil)
Sul tema dei tagli all’editoria interviene Giuliano Zignani, segretario regionale della Uil.
Un accanimento che non ha nessun senso. È quello di Vito Crimi, sottosegretario con delega all’Editoria, nei confronti dei piccoli giornali che sarebbero l’unico soggetto penalizzato se andasse in porto il disegno annunciato da Crimi: cancellazione nel 2020 dei contributi all’editoria.
È un provvedimento incongruente per una serie di motivi. È vero che i 5Stelle hanno sempre contestato i contributi all’editoria. Ma, su questo fronte, negli ultimi anni è cambiato il mondo. Fino a una decina di anni fa ogni anno lo Stato stanziava circa 500 milioni all’anno e i soldi (contributi diretti e indiretti) li prendevano tutti i giornali. Ora non è più così.
Adesso il contributo è di sessanta milioni l’anno e ne usufruiscono quasi solo giornali locali che sono editi da cooperative o società no profit. Ovvero i veri editori puri presenti nel sistema. Soggetti che fra l’altro, essendo poco capitalizzati, hanno problemi a finanziarsi. Fra l’altro il sistema è normato da una legge approvata due anni fa a larghissima maggioranza e che fu scritta anche accogliendo un emendamento presentato proprio da Crimi.
Adesso i fruitori dei contributi sono quasi esclusivamente i giornali locali. Quelli piccoli. Il motivo è chiaro: l’editoria non è un’impresa come le altre. L’incidenza del costo del lavoro è molto più alto in quanto i giornalisti non possono essere sostituiti dai robot. Quindi ai bilanci servono quei grandi numeri che non possono avere piccole realtà locali.
È la risposta più logica al richiamo fatto dall’articolo 21 della Costituzione. È dedicato alla libertà di stampa e recita: tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
E libertà di stampa fa rima con pluralismo dell’informazione che, invece, subirebbe una ferita molto grave se fosse tagliata quella fetta di contributi residui.
C’è poi un discorso legato alla ricaduta sociale e a quella economica. Quel taglio di circa sessanta milioni di euro avrebbe pesanti ricadute su circa 10mila lavoratori, indotto compreso con dei costi per la comunità molto alti, mentre al momento l’esborso per il contribuente è zero. Anzi, lo Stato incassa (Irpef, Iva e tasse varie) di più rispetto ai sessanta milioni che spende. Quindi, paradossalmente, più che di un contributo si potrebbe parlare di un investimento.
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