La storia dell'Isola delle Rose, un condensato, estratto dal libro di prossima uscita “Fatti e misfatti a Forlì e in Romagna” volume 3 di Marco Viroli e Gabriele Zelli. Il libro sarà edito dal «Ponte Vecchio» di Cesena e si troverà in vendita da metà novembre
La Romagna è davvero una strana terra, abitata da sempre da strani personaggi, che spesso sono passati alla storia per aver compiuto strane imprese, uniche e straordinarie.
La storia che stiamo per raccontarvi ha come scenario la Romagna, o meglio il mare di fronte a Rimini, per la precisione di fronte a Torre Pedrera. Il protagonista, l’ingegner Giorgio Rosa, è un romagnolo “inconsapevole”, un bolognese, perché, come scriveva Dante Alighieri, i confini della Romagna vanno individuati a nord: «Tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno», in tal caso la città felsinea è da considerarsi romagnola a tutti gli effetti.
Rosa, che era appassionato di sperimentazione ingegneristica, per un paio di anni, aveva svolto numerosi sopralluoghi, studiando il sistema migliore per ancorare una piattaforma al fondale del mare Adriatico. Dopo aver risolto alcuni problemi tecnici e finanziari, diede il via alla costruzione della struttura che richiese alcuni anni.
Pronta nell’inverno del ‘65, la piattaforma fu fissata e ancorata definitivamente nel maggio ’66 e il 20 agosto 1967 l’isola venne aperta al pubblico. Immediatamente suscitò grande interesse da parte dei curiosi che accorsero a frotte. «Venivano in barca – ricorda in un’intervista l’ingegnere bolognese –. Eravamo un’attrazione turistica, molto apprezzata anche dagli amministratori e dagli operatori di Rimini. Tanto che, quando cominciarono i guai, vi fu chi organizzò una sfilata di protesta in città. Almeno duemila furono i manifestanti».
Nelle intenzioni iniziali di Rosa l’isola doveva avere finalità puramente commerciali: «In Romagna stava sbocciando il turismo, avevano aperto l’autostrada Rimini-Bologna. Poteva funzionare. E magari oggi ne avremmo una con una superficie di un chilometro quadrato e ne avremmo costruite altre».
L’Isola adottò come lingua ufficiale l’esperanto, questo per ribadire il carattere internazionale della nuova Repubblica e fissare chiaramente la propria sovranità e indipendenza dalla Repubblica Italiana. Fu così che il nome ufficiale che venne dato alla piattaforma artificiale di 400 m², che sorgeva nel mare Adriatico, a 11,612 km al largo delle coste dell’allora provincia di Forlì, 500 metri al di fuori delle acque territoriali italiane, fu Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose (Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj).
L’isola artificiale dichiarò unilateralmente la propria indipendenza il 1º maggio 1968, con Giorgio Rosa a ricoprire la carica di presidente. L’ingegnere bolognese non lasciò nulla al caso. La nuova repubblica si diede un governo, formato da una Presidenza del Consiglio dei Dipartimenti e da cinque Dipartimenti, suddivisi in divisioni e uffici, affidati a familiari e conoscenti di Giorgio Rosa. L’isola adottò uno stemma rappresentante tre rose rosse, con gambo verde fogliato, raccolte su uno scudo bianco e fu istituita anche una bandiera di colore arancione, con al centro lo stemma repubblicano. La valuta scelta fu il Mill, con un cambio alla pari rispetto alla lira italiana. Furono realizzate alcune emissioni di francobolli, una delle quali mostrava la cartina dell’Italia e in evidenza la posizione in cui si trovava l’Isola delle Rose.
Pur essendosi data una lingua ufficiale, un governo, una moneta, un’emissione postale, una bandiera e un inno, l’indipendenza della micronazione non venne mai riconosciuta da alcun Paese del mondo.
Nel breve arco di vita dell’Isola delle Rose furono elaborate le più fantasiose teorie sulla sua origine e sulle sue finalità: centro di spionaggio, televisione pirata, presidio pre-invasione di potenze occidentali. In pieno clima di Guerra Fredda, in molti affermavano di esser certi che a difesa della piattaforma vi fossero i sottomarini sovietici.
A Rosa fu attribuita l’intenzione di volervi aprire un casinò, un distributore di benzina, un night, tutto ovviamente esentasse, e di voler svolgere attività di vendita di contrabbando.
La libertà dello Stato al largo di Rimini in poche settimane conquistò il cuore di migliaia di persone in Italia e in Europa. In tanti vedevano in quella piattaforma in cui si parlava una lingua comune, il sogno di giustizia e uguaglianza, di pace e di progresso che tanto era in voga in quegli anni. L’eco della Summer of Love di San Francisco dell’anno prima, del Maggio francese e della Primavera di Praga stavano facendo breccia anche tra i giovani italiani.
Purtroppo questo sogno ebbe vita brevissima. Il 25 giugno 1968, appena 55 giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza, lo Stato italiano dichiarò l’embargo e occupò militarmente l’Insulo de la Rozoj.
Ad agosto, il ministero della Marina mercantile inviò alla Capitaneria di Porto di Rimini un dispaccio, in cui veniva formalmente intimato a Rosa di demolire la piattaforma. L’ingegnere presentò ricorso che fu respinto. Nel frattempo, il 30 settembre 1968, le Autorità italiane stimavano che la demolizione dell’isola sarebbe costata circa 31 milioni di lire, all’incirca il prezzo che era costata la costruzione all’ingegner bolognese.
Nonostante l’interessamento di alcuni esponenti politici, il 29 novembre 1968, a Rimini furono sbarcati a terra tutti i materiali trasportabili trovati sulla piattaforma. In breve arrivarono le navi della Marina Militare, un barcone da trasporto e dei sommozzatori per minare la struttura.
La struttura resistette a due successive esplosioni controllate (11 e 13 febbraio 1969) che però produssero l’effetto di danneggiarla gravemente. Ridotta a una rovina in mezzo al mare, mercoledì 26 febbraio 1969, l’Isola delle Rose scomparve definitivamente tra le onde di una burrasca invernale. Lo Stato libero del Mare Adriatico non esisteva più.
In un’intervista al quotidiano «La Stampa», pubblicata il 10 settembre 2012, alla domanda se trovandosi nella stessa situazione di allora avrebbe rifatto tutto ciò che aveva fatto, Giorgio Rosa rispose: «Pentito? No assolutamente, non ho mica ucciso nessuno! Se lo rifare? Conoscendone l’esito, no, perché non amo ripetere gli errori. Anzi, forse fu più un peccato d’ingenuità. La piattaforma mi costò 30-35 milioni di lire. Comunque mi sono rifatto abbondantemente: ho esercitato la libera professione con molta fortuna, i miei clienti dopo tutta questa reclame crebbero del 100-140%. E poi, in un certo senso sono passato alla storia se dopo tutti questi anni se ne parla ancora».
Il 2 marzo 2017, Giorgio Rosa si è spento all’età di 92 anni. Con lui è terminata la storia del progetto di un visionario ingegnere bolognese, “romagnolo inconsapevole”, ma il suo sogno non è caduto nell’oblio. In molti hanno tratto ispirazione dalla storia dell’Isola delle Rose per scrivere libri o girare film o documentari. Perché i sognatori vengono e vanno, ma i grandi sogni continuano a vivere di vita propria e non muoiono mai.
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