Sui social network circolano fake news e attacchi di ogni tipo: niente di nuovo, sono gli stessi argomenti da un secolo
Non pagano le tasse, sono legate a doppio filo alla politica, sono autoreferenziali, non rispettano i diritti dei lavoratori, giocano sporco, i padri fondatori si rivolterebbero nella tomba. Quindi occorre riportarle alla purezza delle origini. Vi ricorda qualcosa? Sono circa 130 anni che esistono le cooperative in Italia. E da 130 anni, a intervalli regolari, qualcuno si alza per lanciare invettive contro i “privilegi” delle cooperative. Usando questi stessi identici temi.
È inevitabile che quel qualcuno pensi di essere il primo e più originale, magari perché la sua lenzuolata di odio viene sparata su Facebook anziché sui fogliacci di regime. Eppure gli argomenti sono sempre gli stessi dai tempi di Nullo Baldini. Gli stessi di quella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1922, quando Italo Balbo diede alle fiamme la sede della Federazione delle Cooperative di Ravenna.
Il miglior fiscalista che io abbia mai conosciuto, rispondeva sempre allo stesso modo. «Se lavorare in cooperativa significa avere tutti questi vantaggi e favori, come mai le varie Srl e Spa non si trasformano tutte in cooperative? Forse perché oltre ad alcuni vantaggi – che non sono esattamente quelli descritti – ci sono anche tanti e pesanti vincoli? Come mai di questi ultimi nessuno parla mai?».
L’ultimo attacco in ordine temporale e non solo, è a firma di un ex politico bolognese che invita a cercare tra i bilanci delle coop i soldi per le riforme. Un uomo (ex) di sinistra? Certo. Non si faccia l’errore di assegnare un colore ideologico a questo tipo di ragionamenti.
Si potrebbe rispondere citando l’ottimo discorso che il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha tenuto all’assemblea annuale delle Cooperativa Italiane. «I vantaggi riservati alla cooperazione hanno motivo di esistere e saranno preservati per la vera cooperazione».
Di Maio ha dimostrato di conoscere l’impresa mutualistica assai più di tanti leader che sarebbero dovuti essere “amici” del movimento cooperativo. Ha citato Pertini e, dopo avere ricordato l’importanza delle cooperative per l’economia italiana, ha chiesto il massimo rigore nei confronti delle realtà che non sposano più lo spirito mutualistico. Un intento che non si può che condividere. «È vero che il Paese ha bisogno di una cooperazione seria e consapevole che metta al centro del suo agire il lavoro e i diritti dei lavoratori», ha detto. Da dove nasce, quindi, questa radicale avversione di settori trasversali della società? Come ha notato un bravissimo storico, Tito Menzani, gli elementi principali sono tre, fin dal Ventennio.
Il primo è che la cooperativa è un’impresa democratica, quindi per definizione difficilmente controllabile. Il secondo è il legame con le grandi culture politiche che rappresentano la spina dorsale dell’Unità nazionale: la tradizione socialista, quella mazziniana e quella cattolica solidale. Infine, ma non ultimo, le cooperative in molti settori sono in diretta concorrenza con gli interessi di altri corpi imprenditoriali. Da qui la ricerca di un vantaggio competitivo più o meno sleale.
È su questo stesso canovaccio consunto che si costruiscono gli articoli spazzatura che girano sui social. Opere in bilico tra fake news e insulto, secondo la regola che pervade la comunicazione degli spin doctor più scientifici: «Io intanto la sparo grossa, poi si vedrà».
In Romagna abbiamo la memoria lunga. Almeno 130 anni. Non vorremmo che il silenzio venisse interpretato come acquiescenza o, peggio, come incapacità di reagire. Magari qualcuno voleva “testare” il tema sui social, come usa oggi. Una specie di sondaggio preventivo per mettere fieno in cascina quando non ci saranno più storie da condividere su chi vive una condizione di debolezza o di precarietà.
Continueremo a non tacere, così come facciamo da 130 anni. In cooperazione siamo gente legata alla terra e sappiamo riconoscere chi si assegna il duro compito dello spargimento del letame.
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