Continua il viaggio di Jacopo Rinaldini
Terza puntata de “La mia Albania”, gli appunti di viaggio su tela di Jacopo Rinaldini.
Sektor Rinia dista pochi chilometri da Durazzo ed è il luogo in cui hanno messo le radici gli abitanti delle montagne della zona di Mirdita: crollato il sistema comunista, le aree montuose hanno perso ogni attrattiva e opportunità, poiché le cooperative agricole, le miniere di rame, oro e tutte le attività della montagna hanno smesso di esistere, cancellate nel volgere di qualche stagione.
Questo posto sospeso, fuori da ogni logica, rappresenta al meglio la corsa alla città, la voglia di modernità, la speranza che viene schiacciata dal peso infinito della realtà.
Marcovaldo di Calvino cammina al mio fianco.
Le strade non sarebbero praticabili, ma ogni cento metri si incrocia un autolavaggio.
Le buche sembrano divorare gli pneumatici delle automobili che corrono lungo strisce d’asfalto martoriate dall’incuria; poco male, è pieno di gommisti e ognuno di essi fornisce a buon mercato gomme nuove e usate.
In molte case, troppe, non c’è traccia di acqua potabile: dai rubinetti esce solo acqua salata. La salsedine fa il resto, ossia danneggia senza ritegno bagni e cucine.
Eppure, le case in costruzione sembrano essere innumerabili, anzi, si legge “tokë në shitje”, terreno in vendita, praticamente ovunque. È un mantra. La voglia di costruire è ardente e irrefrenabile.
La mancanza d’acqua non spaventa, qui la disperazione si ricaccia nell’oscurità con i sorrisi dei bimbi che affollano le spiagge.
Sui loro volti ho visto la vita trionfare. Nelle case delle persone che mi hanno ospitato ho incontrato una tenacia senza pari.
Molti albanesi mi hanno domandato cosa ci facessi a Sektor Rinia. Non lo so, so solo che ho bisogno di tale luogo e della sua gente.
Vivo anni lontani, la spiaggia è la stessa di Cesenatico quando mia mamma era bambina. Non ci sono grandi stabilimenti laccati e alla moda, anzi, tutt’altro.
Pochi lettini, ma la vita brulicante, incontenibile, esplosiva ti rapisce e sussurra al cuore del viaggiatore, che altro non può fare se non commuoversi dinanzi alle famiglie numerose, ai bambini che edificano fantasiose strutture di sabbia, che giocano a pallone e fanno volare aquiloni, ad adolescenti che tentano di corteggiare la più bella ragazza della zona, alla signora che incede tetragona alla stanchezza e vende frittelle, “petulle”, al vecchio venditore di fichi, il quale arrotonda come può, visto che la pensione non gli basta.
È una borgata popolare che profuma di mare: l’esistenza si cristallizza e un senso di serenità si abbraccia ad un anelito di gratuità.
Il pane si spezza in riva al mare e si divide tra amici, fratelli e conoscenti.
Si è, per qualche minuto, “compagni” di vita.
Ciò che provo in fondo all’anima tinge il cielo di sfumature rosa, gialle e oro: è arrivato il tempo del tramonto e mi sento parte di un’unica famiglia, quella umana.
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