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La storia di Albo Sansovini “Dick”: giovane combattente per la libertà

A Forlì il Ronco Lido porta il suo nome

In attesa del 25 aprile, festa della Liberazione, si propone oggi una riflessione sull’importanza della salvaguardia della natura. Lo si fa a partire dall’intitolazione del Polisportivo del Ronco ad Albo Sansovini, un giovane combattente per la libertà. 

Il Ronco Lido 
Il Sito di Importanza Comunitaria (SIC) Meandri del Fiume Ronco inizia dal Ronco Lido, a ridosso della via Emilia e si estende lungo il corso d’acqua, su entrambe le sponde, fin verso Meldola e viceversa. Nel punto di partenza che viene considerato è presente uno storico parco, da diversi anni in condizioni di degrado, e un polisportivo, di proprietà del Comune di Forlì, intitolato al giovane partigiano Albo Sansovini, ucciso nel 1944,  in gran parte abbandonato ad eccezione di un campo da calcio e di uno per gli allenamenti. Non sarà oggetto di questo testo capire il perché della situazione alquanto critica che sta attraversando uno degli impianti e delle aree verdi un tempo più frequentate del nostro territorio. In questo caso ci si prefigge di far capire l’importanza di tutta la zona SIC dal punto di vista naturalistico ed ecologico e il benessere che crea e che potrebbe ulteriormente generare a partire da una lapide, collocata nel 1978 al Ronco Lido, per ricordare con questo testo: “Il 26 giugno 1944 a soli 19 anni veniva fucilato dai nazifascisti a Bologna Albo Sansovini – Dik – valoroso combattente per la libertà d’Italia. Nel 34° anniversario del suo sacrificio l’A.N.P.I. e la popolazione del Ronco pongono questa lapide ad intestazione del Centro Sportivo affinché i giovani affinando il corpo nella pratica sportiva ricordino che altri giovani in altri tempi offrirono la loro libertà per la Pace la Giustizia la Libertà”.
Siccome siamo a ridosso dell’anniversario della Liberazione giova sottolineare che ai nostri giorni perseguire la pace, la giustizia e la libertà significa salvaguardare la democrazia, ma anche la natura e valorizzare ambiti come quello dei Meandri del Fiume Ronco. Ovviamente andrebbe data ai giovani e alla cittadinanza la possibilità, di ritornare a frequentare tutta l’area sportiva e il parco.

I Meandri del Fiume Ronco
Il sito si sviluppa intorno al tratto pedecollinare meandriforme, come si legge sulla scheda pubblicata nell’ottimo sito della Regione Emilia-Romagna, che ha il suo punto centrale all’altezza di Carpena e Selbagnone, presso Forlimpopoli, da Para a monte fino alla confluenza dell’Ausa Nuova a valle, in corrispondenza di quell’area inselvatichita di vecchie cave di ghiaia e sabbia e bacini derivati, nota e istituita dal 1984 come Oasi faunistica di Magliano. L’ambiente di alta pianura circostante, fortemente antropizzato, è caratterizzato da terreni agricoli, prevalentemente da frutteti, vigneti e seminativi. Il corso fluviale, la presenza di alcuni bacini tra cui il principale con fredde acque di falda, spazi in abbandono e margini a gestione sostenibile per scopi ricreativi rendono il contesto ecologicamente interessante. 

L’importanza fondamentale dell’area, come viene rimarcato sul sito regionale, risiede nel ruolo di corridoio ecologico di tipo ripariale che l’area svolge nell’ambito della rete naturalistica di collegamento tra Appennino e pianura romagnola, analogamente a quanto accade per i vicini siti di Scardavilla e Ladino (più forestali, soprattutto il primo). Corpi d’acqua corrente e stagnante (15%), boscaglie (10%) e boschi di tipo ripariale (25%), con salici, pioppi e ontani e vegetazione palustre più qualche elemento di foresta più asciutta ricoprono complessivamente circa la metà della superficie del sito in un mosaico abbastanza variato che ospita in particolare presenze faunistiche di pregio. Un habitat di interesse comunitario – boschi ripariali di pioppi e salici – copre quasi il 20% della superficie del sito. In misura minore, si riscontrano ulteriori sette tipi di habitat, quattro acquatici (uno di acque correnti) e tre di tipo erbaceo. 
Per la descrizione della flora e della fauna presente, nonché della loro importanza, si rimanda al sito più volte citato. 
Se si conviene sul valore di questa zona dobbiamo fare nostre le parole della lapide per fare in modo che i giovani non solo affinino “il corpo nella pratica sportiva” ma lavorino per la promozione di un luogo come quello in questione e giustamente “ricordino che altri giovani in altri tempi offrirono la loro libertà per la Pace la Giustizia la Libertà”. 

Albo Sansovini “Dick”
Come si vuole fare aggiungendo che Sansovini Albo, «Dick», di Francesco, nacque il 3 gennaio 1925 a Forlì, nella frazione di Villa Ronco ed era un operaio. Dopo l’8 settembre 1943 entrò in contatto con i primi gruppi partigiani che si stavano formando sulle nostre colline e successivamente si unì alla Brigata Garibaldi Romagnola comandata da «Libero» (Riccardo Fedel). Nel gennaio 1944 partecipò insieme ad altri ad un trasporto di un carico di armi dalla zona di Pieve di Rivoschio verso Santa Sofia, ma per una serie di condotte imprudenti il gruppo di partigiani si scontrò con un reparto fascista e le armi andarono perdute. Sansovini, dopo questo episodio, venne spostato in pianura, ma è pure probabile che egli stesso decise di lasciare la formazione partigiana per entrare a fare parte di un Gruppo di Azione Patriottica del cesenate, con cui partecipò la sera del 22 gennaio 1944 all’attentato contro il vice segretario del Fascio di Cesena, Pier Francesco Moreschini, rimanendo però ferito e in seguito catturato. 
Nello stesso pomeriggio alcuni fascisti avevano ucciso Mario Guidazzi, nato a Cesena il 20 febbraio 1897, antifascista, appartenente a una famiglia repubblicana. Dopo essere stato licenziato dalla BNL per non avere la tessera fascista, Guidazzi lavorava come direttore della CAFIOC a Ferrara. Il 22 gennaio 1944, tornando dal lavoro e per recarsi più in fretta dalla moglie (l’abitazione era in corso Comandini), incinta all’ottavo mese, sebbene sconsigliato, imboccò il vicolo della stazione, sbucando in corso Cavour proprio mentre passava un corteo fascista che andava a prelevare dall’adiacente ospedale la salma di Ivo Piccinini (un milite ferito da un GAP la sera del 18 gennaio e morto il 21 successivo) per celebrarne il funerale. Guidazzi, riconosciuto come cognato di Cino Macrelli, all’epoca tra i maggiori esponenti dell’antifascismo cittadino, fu prima minacciato e picchiato da militi del battaglione Guardia del Duce e infine ucciso con un colpo di pistola. Oltre alla moglie lasciava due figlie; il terzo sarebbe nato due giorni dopo.
Albo Sansovini, secondo la fonte del registro matricola del carcere bolognese, dove poi verrà trasferito, fu arrestato a Casola Valsenio il 15 aprile 1944. Detenuto inizialmente nel carcere di Forlì, il 5 giugno entrò a San Giovanni in Monte, con matricola 10938, per ordine e a disposizione del «comando tedesco SS», ovvero della Sipo-SD dell’Aussenkommando Bologna. Con lui arrivarono al carcere bolognese altri partigiani romagnoli, tra i quali anche Edo Bertaccini e Walter Ghelfi che rimarranno poi coinvolti nell’eccidio di Cibeno di Carpi.
Bertaccini Edo, nato a Forlì il 22 gennaio 1924, residente nella frazione forlivese di Coriano, stava svolgendo il servizio militare come aviere al momento dell’armistizio. Sin dall’ottobre del 1943 partecipò alla organizzazione delle formazioni partigiane di montagna e divenne comandante della Settima compagnia aggregata alla brigata “Romagna”. Durante il grande rastrellamento d’aprile nelle colline romagnole la sua compagnia si sciolse e Bertaccini cercò di raggiungere la pianura. Dopo uno scontro a fuoco rimase ferito, fu catturato il 4  aprile 1944 alla Fratta, presso Meldola, e inizialmente incarcerato a Forlì, da dove poi è trasferito a Fossoli.
Invece Ghelfi Walter, nato il 3 agosto 1922 a Rimini, che aveva aderito presto alla Resistenza militando nella 8a Brigata, dove divenne commissario politico di compagnia fu catturato direttamente durante il rastrellamento. 

L’eccidio del poligono di tiro di Cibeno
L’eccidio di Cibeno fu una strage compiuta dalle SS il 12 luglio 1944 presso il poligono di tiro di Cibeno, una frazione – oggi quartiere – di Carpi, in cui morirono 67 persone già recluse nel Campo di Fossoli. È stato definito come “l’atto più efferato commesso nell’Italia occupata dalle SS su persone internate in un campo di concentramento”.
Albo Sansovini sarà invece prelevato il 26 giugno insieme ad altri quattro partigiani modenesi (Giancarlo Campioli, Carlo Ferrari, Aldo Giberti e Bruno Prandini) per essere fucilato nello stesso poligono in una rappresaglia decisa dal comando di polizia tedesco in risposta ad un attentato che nei pressi di Carpi aveva danneggiato la linea ferroviaria per il Brennero (le motivazioni dell’orribile strage non sono mai state chiarite in modo compiuto ndr). Altri 6 partigiani erano stati fucilati a Carpi. Sul registro-matricola risulta semplicemente un rilascio per consegna ad «agente tedesco». 

Gabriele Zelli

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