Nel porto di Livorno, nell’agosto del 1804, attraccò il bastimento “Anna Maria Toletana” partito originariamente da Veracruz e approdato poi a Cadice da cui era ripartito alla volta del porto toscano. Essendo la Spagna considerata “paese sicuro” a livello sanitario la capitaneria di porto dette il via libera, senza dettare nessuna misura di quarantena, all’ingresso del naviglio nell’area portuale e al libero sbarco dell’equipaggio e dei passeggeri. Errore fatale in quanto l’intero personale del bastimento era affetto dalla febbre gialla a uno stadio già avanzato e l’epidemia si diffuse rapidamente. Le cronache dell’epoca raccontano che: “I medici, o non conoscendo la natura del nuovo male, o temendo che l’annunziarlo dispiacesse al popolo ed al Governo, non suggerirono alcuna utile misura. La malattia andò perciò giornalmente aumentando, fino a gettar lo spavento in Toscana e in tutta quanta l’Italia. Varie misure furono al Governo proposte, e da questo sperimentate, riuscendo vano ogni tentativo”. Fu così che vennero inviati sul posto Gaetano Polloni (Montevarchi 1776 – Livorno 1830), medico e accademico di chiara fama, come “àncora sacra della Speranza” in compagnia di altri sanitari “onde provvedessero alla comune salvezza». Polloni giunto a Livorno da Firenze, si accertò della natura del male e, intuita la natura vaiolosa del morbo, prese una serie di valide disposizioni per isolarlo e debellarlo. Di fatto in breve tempo Livorno si poté dire fuori pericolo.
Nel frattempo l’allarme si era esteso ovunque. Anche le autorità della Forlì del tempo emanarono disposizioni per contenere il contagio. Nel caso specifico fu istituita una ristretta Commissione Speciale di Sanità composta, per citare solo i personaggi storicamente più noti, dai conti Giuseppe Mangelli e Antonio Colombani. In un manifesto, affisso in città che porta la data del 9 novembre 1804, venivano date le indicazioni che i cittadini dovevano ottemperare. Dal documento conservato presso l’Archivio di Stato, che lo studioso Agostino Bernucci mi ha trasmesso, si possono individuare i principali provvedimenti stabiliti “per la tutela della pubblica salute”.
Per primo fu deciso che le mura della città fossero controllate di continuo da un “cordone di probi cittadini e chiunque tentasse d’eludere questo cordone con intromissione di persona, di bestia e di robbe, nell’istante è riconosciuto reo di attentato alla pubblica salute”.
In ogni Porta della Città furono designati “due Deputati di Sanità incaricati della precisa osservanza di tutte le discipline e regolamenti di Sanità e di Polizia relativi all’introduzione di persone, bestie e di robbe”, designazione “che venne distribuita a turno dalla Municipalità fra Cittadini degni della publica confidenza”. I responsabili di questo servizio dovevano intimare a chiunque si presentasse per accedere in centro di “fermarsi alla distanza di cinque piedi (l’attuale distanziamento sociale!); nella suddetta distanza, e col mezzo di una canna di detta lunghezza” spaccata in cima, ricevevano “la carta di sicurezza e la Fede di Sanità” (una vero e proprio passaporto sanitario ndr).
Nel documento sono riportate anche le disposizioni a cui si devono attenere chi era addetto al controllo delle porte nel caso rientrasse un “un abitante della città, o della campagna proveniente dall’interno del territorio comunale”, al quale per passare gli “basterà la presentazione della sola Fede di Sanità”. In caso di qualche sospetto sull’effettiva esigenza di muoversi di chi era stato fermato si faceva “l’esame di dette carte colle dovute cautele degli spruzzi d’aceto, e delle profumazioni di bacche di ginepro, rivolgendo le suddette con forbici e ferri addattati”. Dopo aver utilizzato questa prassi e questi mezzi, a dire il vero alquanto empirici ma anche ai nostri giorni dopo 200 anni e tanti progressi medico-scientifici abbiamo assistito ad altre situazioni di poco razionali, procedevano “con le necessarie interrogazioni” e verificavano “la provenienza espressa nella Fede di Sanità e confrontano la persona dell’offerente coi connotati in essa specificati. Risultando diversi, gli esibitori sono creduti sospetti, come nel caso in cui s’incontrassero in dette Fedi alterazioni di carattere diverso, e di diverso inchiostro nelle loro date, e nella nomina delle provenienze”.
Inoltre i tutori dell’ordine pubblico dovevano ritenere irregolari “le suddette Fedi, quando calcolato il tempo del viaggio dal luogo della partenza si conosca evidentemente, che la Fede doveva essere rinovata, e rivedimata, come pure se nelle suddette Fedi non siano specificate le bestie e robbe che ha seco l’offerente. Nei casi suddetti di sospetto, e d’irregolarità ne passano immediato rapporto al Delegato speciale di Sanità, e trattandosi di militari al detto Delegato ed al Commandante della Piazza per le loro occorrenze; specificando nel rapporto: nome, cognome, patria e provenienza”. Nel frattempo chi era sospettato di aver alterato l’autorizzazione doveva essere “trattenuto nella suddetta distanza guardato a vista da una sentinella”.
Infine chiunque usciva a piedi o a cavallo doveva denunciare al Deputato della Porta il luogo dove si portava e al ritorno doveva farsi riconoscere.
Solo le quattro porte principali restavano aperte ma dopo le 20.00 non era consentito “l’ingresso ad alcuno fuorché ai corrieri, staffette, espressi di Governo, e delle autorità sanatorie o militari. Tutte le altre porte non saranno aperte che dall’alzarsi al tramontar del Sole; e la Municipalità d’accordo col Comandante potrà anche determinare, che alcune di esse resti sempre chiusa sino a nuova disposizione”.
Insomma non c’erano i droni ma il controllo veniva assicurato ugualmente. O almeno si tentava.
Le cronache dell’epoca non raccontano di vittime.
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