Servono politiche economiche, ma anche di retribuzione del redditto
Non c’è un bottone on/off da spingere. Siamo di fronte ad un’economia di guerra, ma ancora non sembra esserci la necessaria percezione. Forse è passato il messaggio che nulla potrà essere come prima. Ma il rischio reale non è la contrazione dell’economia, ma la depressione. Lo dimostra anche quello che ha detto il ministro delle Finanze francese. Questo l’incipit del pezzo pubblicato da repubblica.it: parole gravi dal Ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, sull’impatto del coronavirus sull’economia transalpina. Intervenendo alla radio Europa 1, Le Maire ha detto che la crisi sanitaria legata al coronavirus causerà “fallimenti” e “licenziamenti” in Francia “nei prossimi mesi”. E per far capire quanto la ferita sia profonda, non è arrivato a escludere il fatto che un simbolo dell’industria francese come Renault possa scomparire se non riuscisse ad adattarsi a questo cambiamento epocale.
E non è che l’Italia stia meglio. Anzi. Ci possiamo raccontare tutto quello che vogliamo, ma andiamo incontro ad un autunno caldissimo e a una primavera che rischia di essere addirittura peggiore. È sufficiente dire che ci sono 90 mila fra bar e ristoranti che non hanno riaperto e chissà in quanti lo faranno. Ma è solo la punta di un iceberg di una situazione che rischia di diventare esplosiva.
Ne usciremo (se ce la faremo) innanzitutto se ci sarà un governo in grado di portarci fuori da questa situazione. Ma molto dovrà ruotare attorno a un sostantivo: solidarietà. Nel senso che ognuno dovrà fare la sua parte. Nei prossimi mesi ci troveremo nella situazione in cui ci sarà un abisso fra chi avrà un reddito e chi non l’avrà. E non si può pensare che il problema possa essere risolto da uno Stato fortemente indebitato e con margini di manovra ridotti al minimo. Il rischio quindi è che un consistente crollo dei consumi: imbuto dal quale si faticherebbe ad uscire e che potrebbe coinvolgere anche chi è ancora tutelato da un reddito.
Per uscirne innanzitutto lo Stato deve mettere in campo delle politiche che possano generare pil e, quindi, occupazione. Affiancandole a politiche sociali che aiutino il maggior numero di persone. Ed allora è il momento di rispolverare la filosofia del “lavorare meno, lavorare tutti”. Fino a poco tempo fa chi la abbracciava lo faceva per migliorare la qualità della vita. Adesso può diventare una necessità stringente per garantire un futuro al paese. Non dimentichiamo che quando la Grecia si è dovuta sorbire la troika aveva un debito al 147 per cento del pil. Il nostro, a fine anno, sfiorerà il 160.
È vero, sono momenti e situazioni completamente diverse. Ma se non ci comporteremo di conseguenza potremmo avere un brusco risveglio.
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