Ripartenza. Questa è la parola d’ordine che rieccheggia, dopo il 18 maggio 2020, quando tutte le attività economiche sul territorio italiano si sono rimesse in marcia, dopo il lockdown, causato dall’emergenza Coronavirus.
Ma come ripartire? Il primo pensiero è il desiderio che tutto torni come prima, come se il virus non fosse mai arrivato, quasi a considerare il blocco di questi mesi come una lunga vacanza, che ha fermato i meccanismi produttivi. Ma è evidente che non sarà così.
Confcooperative Forlì-Cesena si sta interrogando su questa benedetta ripartenza, con una riflessione non banale, che parte anche da un’analisi di se stessa, del proprio ruolo nei confronti delle imprese associate e della necessità di innovazione, non solo imposta dalle evoluzioni del mercato, ma anche dallo stesso virus, che, non dimentichiamolo, sta modificando i nostri modi di vivere, di muoversi, di lavorare e anche di fare impresa.
“In primo luogo – afferma il direttore Mirco Coriaci – non possiamo sottovalutare la fragilità psicologica che stiamo vivendo. Credo che questa ripartenza debba avviarsi dalla consapevolezza di essere di fronte ai postumi di una vicenda paragonabile alla ripresa dopo la Seconda Guerra Mondiale e a quella post-tangentopoli. Siamo fragili, siamo stati investiti da un ciclone che non conoscevamo e abbiamo il dovere di ripensare il nostro ruolo, anche come organizzazione di imprese. Confcooperative, in questo contesto, deve essere un riferimento, ben più che in passato, per le aziende associate: mi riferisco, per esempio, ad una comunicazione efficace e repentina, sui quadri normativi in continua evoluzione, ad un’attività di relazione costante con gli enti pubblici territoriali, al fine di rappresentare e svolgere al meglio attività di intermediazione e ad un supporto di analisi e formazione, in grado di leggere i nuovi scenari, le nuove esigenze sociali e le mutate dinamiche aziendali”.
Il Coronavirus, fra mille aspetti negativi, ne ha fatto emergere anche uno positivo: l’essere umano e le imprese sono in grado di adattarsi, di cambiare rotta, di fare scelte coraggiose, basti pensare all’aspetto più macroscopico, lo smart working, il cui utilizzo, in poche settimane, ha interessato da 570.000 a circa 8 milioni di lavoratori nel nostro Paese.
“Questa duttilità diffusa – continua Coriaci – deve essere la misura per reinventarsi, innanzitutto sulla definizione di protocolli di sicurezza interna, ma poi su obiettivi di più largo respiro, anche tramite collaborazioni commerciali e tecnologiche, viste le limitazioni di mobilità e anche le restrizioni nell’implementazione di grandi eventi fieristici. La tecnologia è lo strumento che accompagnerà queste evoluzioni e garantirà la permanenza delle aziende sui mercati, ma non potrà essere l’unica strada. Dovrà essere mixata con la socialità, un aspetto da recuperare assolutamente, specie per noi della cooperazione, che basiamo tutto il nostro agire sulla centralità della persona e su relazioni interpersonali nel fare impresa. Questo concetto desidero affermarlo con forza, in quanto in questi mesi, grazie al lavoro a distanza, abbiamo retto bene come organizzazione, ma, d’altro canto, abbiamo percepito in noi stessi e anche nei nostri cooperatori, il bisogno del confronto ‘visu a visu’, che sarà da recuperare, seppur in modalità progressiva e comunque rispettando tutte le precauzioni del caso”.
Un altro nodo di particolare importanza, emerso nel corso di questa emergenza è senza dubbio lo spirito di solidarietà fra le persone e il senso di prossimità anche nell’intendere i consumi, concetti da tenere in massima considerazione, nel progettare e implementare la ripartenza economica.
“La cooperazione – ribadisce Coriaci – a questo proposito può rappresentare un forte valore aggiunto, perchè questi valori sono iscritti nel nostro DNA. Penso, in particolare, che la dimensione localistica possa essere molto interessante per la ripresa in ambito cooperativo e non mi riferisco solo alle cooperative di comunità sorte in piccoli borghi decentrati, ma al fatto che la filosofia di queste esperienze possa essere esportata ad altri ambiti, quali – solo per citarne alcuni – la commercializzazione di prodotti a km zero, il trasporto locale delle merci a domicilio, le stesse strutture socio-sanitarie, le cui esperienze cooperative presenti sul territorio non sono uscite con le ossa rotte dall’emergenza Covid19, i servizi alla persona (fisioterapia a domicilio). In più sono ricordare, come esempio virtuoso, le cooperative che sono state in grado di convertire le produzioni; cito per tutte l’esperienza di Formula Solidale e del suo negozio di abbigliamento “Fuori Luogo” di Forlì, un’interessante progetto che interessa anche lavoratori interni al carcere di Forlì, che ha avviato, a fianco delle produzioni tessili, anche quella di mascherine protettive”.
“Nel contesto attuale – conclude Coriaci – merita grande attenzione anche il modello WBO (Workers Buy Out), la rigenerazione di imprese in crisi tramite l’impegno dei lavoratori, operazioni su cui siamo impegnati con successo da diversi anni: il blocco generato dal Covid 19, purtroppo, causerà situazioni di esterma difficoltà nelle aziende più fragili e questo strumento potrà essere certamente funzionale per la riorganizzazione di imprese in forma cooperativa. Ci tengo a citare un caso specifico che, tramite questa modalità, ha visto la luce in aprile: si tratta di percorso che abbiamo guidato, a supporto di un gruppo di lavoratori che, sulle ceneri di un’impresa precedente, ha costituito la coop. Casa Più, che si occupa di commercio di materiali edili”.
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