Servono scelte per intercettare il cambiamento
CESENA. Ne usciremo cambiati, ma ne usciremo. E’ un aforismo postato da Marcello Borghetti, segretario Uil, nella sua pagina Facebook. E’ una frase che fotografa perfettamente la situazione. Ma a questo punto è lecito chiedersi se come territorio siamo pronti o stiamo lavorando per essere in grado di agganciare il “nuovo mondo”. Ma per farlo serve cambiare il nostro dna. Il nostro problema è che siamo il territorio della bassa manovalanza e serve fare dei passi in avanti. E anche in fretta. Abbiamo investito soldi ed energie nell’Università, ma ora dobbiamo riuscire a trattenere i laureati.
Purtroppo però del mismatch se ne parla sempre troppo poco, ma la mancata corrispondenza fra le competenze di chi cerca lavoro e la richiesta delle aziende è uno dei problemi più grandi che abbia l’Italia. L’impressione è che oggi come del resto prima dell’emergenza Covid, le persone studiano e si formano per professioni che in realtà sono poco richieste sul mercato del lavoro.
Le aziende cercano competenze specifiche che difficilmente vengono formate all’interno dei percorsi di studio accademici. Adesso serve soprattutto formare nuove figure professionali indispensabili per portare le aziende nel futuro digitale. E’ stato stimato che il dopo Covid farà nascere circa duecento nuove professioni legate al mondo digitale, molto specialistiche.
Ad esempio non è più sufficiente la conoscenza del marketing tradizionale occorre avere cognizioni di web marketing, di social network e dell’analisi dei dati statistici provenienti dalla rete. Poi c’è il data scientist, che deve permettere ai computer di apprendere ed elaborare previsioni future a partire da uno o più database, il blockchain developer, per operare con la crittografia del sistema blockchain, l’ux-designer che sviluppa grafica e programmazione con molteplici sistemi, lo sviluppatore di App, l’artificial intelligence business manager per utilizzare in azienda l’intelligenza artificiale, il cloud architect che archivia e memorizza i dati nel cloud, i vigilantes contro gli hackers, e così via.
Se vogliamo l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro queste sono le strade da percorrere. Le persone che sapranno trovare soluzioni agli attuali problemi specifici delle aziende, che sono soprattutto digitali, e quelle che sapranno portare un valore concreto ad esse hanno le porte aperte per un’assunzione”. E si crea una situazione dove si governa la robotizzazione.
Noi, invece, come territorio corriamo un altro rischio: quello di perdere occupazione perché abbiamo una manovalanza che può essere completamente o quasi sostituita dai robot. Senza un’inversione di tendenza non andremo da nessuna parte. E pensare che Edoardo Preger, l’ex sindaco, quasi 25 anni fa diceva che la nostra economia doveva cambiare altrimenti non avremmo avuto futuro. Le parole non erano proprio quelle, ma il senso sì.
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