C'è un corto circuito del quale la politica non parla
CESENA. Spesso quando ascolti i dibattiti hai l’impressione che i politici siano distanti dalla realtà. Poi cerchi di giustificare il loro comportamento, ma è sempre più difficile riuscirci. In particolare quando li senti parlare delle emergenze. Sono bravissimi a sgolarsi e a stracciarsi le vesti quando c’è da prendere posizione sull’emergenza del momento o dare fiato e sponda alla protesta. Il problema però è che i problemi reali del Paese non solo non vengono trattati, ma neppure sfiorati.
Prendiamo l’istruzione, ad esempio. C’è un dato che ormai è acclarato: sforniamo discoppati. Perché? La domanda è stata fatta spesso senza ottenere risposte. Eppure ci sono analisi che parlano chiaro. Secondo lo studio “News Skills at Work”, condotto da JpMorgan e Bocconi, l’Italia è terza al mondo per il disallineamento tra le discipline di studio scelte dai giovani e le esigenze del mercato del lavoro. Questo è ancora più grave se teniamo presente che in Europa siamo penultimi come numero di laureati e al contempo fanalino di coda per le competenze informatiche. Questo emerge da un’altra classifica, la Desi 2020, della Commissione europea.
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Risulta che l’Italia è all’ultimo posto in Europa per competenze digitali e laureati in informatica. I paesi che hanno i numeri migliori sono quelli del nord Europa. Ma non la Germania, bensì, nell’ordine: Finlandia, Svezia, Estonia, Paesi Bassi. I giovani italiani continuano a preferire le lauree in scienze sociali e in discipline artistiche e umanistiche, non a caso in questo campo doppiamo la Germania. Probabilmente è per questo che negli ultimi quindici anni la disoccupazione dei laureati tedeschi nella fascia d’età 25/39 anni ha oscillato fra il due e il quattro per cento, mentre quella degli italiani è tra l’otto e il tredici per cento.
Insomma il quadro che abbiamo di fronte non è dei più belli: alta disoccupazione giovanile (oltre il 30 per cento), basso numero di laureati e nella stragrande maggioranza dei casi percorso scolastico insufficiente per rispondere alle necessità delle imprese.
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Tutto questo nonostante le competenze tecnologiche, sottolinea uno studio di Boston Consulting Group, diventano obsolete in un periodo compreso tra i due e i cinque anni, e si stima che entro il 2022 il 27 per cento dei lavori saranno legati a mansioni che ancora non esistono. Quindi è fondamentale ripensare format e strategie di formazione. Insomma, tutto o quasi fa capire che siamo di fronte a un corto circuito.
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