Il 5 giugno 1944 un importante bombardamento aereo colpì varie zone della città di Forlì, con bombe lanciate anche sulla frazione di Coriano, dove morirono nove persone. Di queste, quattro appartenevano alla famiglia Liverani-Gramellini: Primo Liverani, Rosa Gramellini, Walter Liverani e Ivana Liverani. La loro storia è stata ricostruita da Antonietta Valentini nel volume “Walter Liverani. Un ragazzo forlivese (1929 – 1944) di recente pubblicazione. Il volume è stato presentato presso la Sala Don Bosco lo scorso 9 maggio in occasione di un incontro promosso dall’Associazione “Tonino e Arturo Spazzoli” e dalla Federazione Italiana Associazioni Partigiane (F.I.A.P.). In quell’occasione Antonio Spazzoli, Mario Proli e Gabriele Zelli hanno presentato il progetto “Antonio (Tonino) Spazzoli (1899 – 1944). Taccuino di una vita” in corso di realizzazione per l’ottantesimo anniversario della morte di uno dei principali esponenti della Resistenza romagnola e italiana.
In attesa che il progetto su Tonino Spazzoli arrivi a conclusione si intende dare spazio, proprio in occasione del tragico anniversario del bombardamento del 5 giugno 1944, al racconto inedito di Antonietta Valentini perché riporta alla luce una tragica storia di quel terribile 1944. Inoltre ci fa conoscere un quindicenne, Walter Liverani, che la morte ha sottratto troppo presto alla famiglia e alla collettività, un giovane che in prospettiva avrebbe potuto avere un ruolo di primo piano nella vita cittadina considerate le qualità che possedeva.
Racconta l’autrice: <<Rosa era la sorella minore di mia nonna, mentre Walter e Ivana, di 14 e 10 anni, erano i cugini e compagni di giochi di mia madre. Rosa veniva dalla famiglia contadina, detta dei Russò, che coltivava i terreni dei conti Bufalini, nella zona che oggi si trova tra via Mastaguerra e il PalaGalassi (Unieuro Arena). Aveva sposato Primo, anche lui contadino, della famiglia detta dei Padòl, e vivevano nella zona di Coriano.
Quel bombardamento li uccise tutti insieme: marito, moglie e i due figli, mentre scappavano verso l’aperta campagna. È una storia come tante, durante la guerra, ma è anche un momento tragico della storia della mia famiglia: la sento raccontare da quando sono nata e dopo ottant’anni ancora ritorna nei discorsi di mia madre, che all’epoca aveva otto anni e che ora ne ha ottantotto. Ho voluto scrivere questa storia perché Rosa Liverani, cugina di Walter e Ivana, ma nata dopo la fine del conflitto, mi disse alcuni anni fa che aveva ancora i quaderni scritti da Walter, conservati con cura da allora. Erano rimasti nella casa di Roncalceci, dove questo ragazzo era stato sfollato per alcuni mesi di quel 1944, insieme alla sorellina Ivana, portati lì dai genitori per salvare almeno loro dagli avvenimenti tragici della guerra>>.
<<Leggendo per la prima volta questi quaderni”, prosegue Antonietta Valentini, “è tornato in vita un pezzo del passato della mia famiglia e anche uno spaccato della vita dei ragazzi di allora, come emerge da tutte le relazioni sui libri di lettura dei tre anni della Scuola Media. Da queste relazioni traspaiono gli ideali con cui, attraverso la scuola, è vissuta una generazione di giovani italiani: l’onore, la fedeltà alla parola data, la morte eroica, il sacrificio per la Patria. Walter li fa propri con l’entusiasmo del suo temperamento e della sua giovane età, non rinunciando però ad esprimere sempre il suo giudizio personale. E così manifesta, testo dopo testo, una scrittura bella, ricca, anche se la sua famiglia era appunto contadina, con una bassa istruzione. Compito dopo compito nasce in lui una grande passione per la scrittura. Durante le vacanze estive scrive poesie, brevi racconti, immagina di essere il direttore di una rivista per ragazzi, scrive anche due piccoli romanzi d’avventura di sua invenzione. Tutti questi quaderni, immaginiamo aggiuntivi rispetto al compito scolastico, sono scritti e impaginati come pubblicazioni vere e proprie, con editore, numero, presentazione, prezzo, tutti inventati, ma realistici>>.
Il racconto di Antonietta Valentini prosegue facendo presente che: <<L’ultimo testo che Walter ci ha lasciato, scritto nei due mesi prima della morte, l’ha intitolato “Il Romanzo dei miei 15 anni”. È un diario che va da marzo a maggio di quel terribile 1944, un testo che ha uno straordinario valore affettivo per la mia famiglia e anche, credo, un valore di testimonianza del sentire di un’intera generazione. Da questo diario, così come da tutti gli scritti di Walter Liverani traspare prima di tutto una grande gioia di vivere. Una gioia dovuta non solo alla giovane età, ma anche al contatto stretto con la vitalità naturale della terra e delle sue stagioni>>.
A questo proposito l’autrice pubblica parte dello scritto di Walter in particolare quando annota: <<Sono felice, oltremodo felice, nell’esuberanza dei miei quindici anni. Primavera dintorno e primavera nella vita. Nella campagna crescono le erbette, sbucano i fiorellini, intiepidisce l’aria, col sole filtrante la cupola cobalto del cielo rosa cristallina; nella vita i giovani anni di allegria e spensieratezza, fanno anche troppo goderla, felici di essere giovani. (…) Che desideriamo di più di questa bella e gioconda e… sbarazzina natura, di questo sole, di questa primavera, e soprattutto di questa nostra giovanile vita? Nulla: basta tanto poco a farci felici!!!>>.
Dagli stessi testi traspare però spesso una profonda malinconia come quando Walter scrive: <<“Ei fu…..” Dolci tempi, quelli che ti recitavo, caro Manzoni, tempi che mi pare ancora di rivedere, non di rivivere, tempi che addolciscono ancora le amarezze di adesso. Quasi un anno, nell’aprile del ‘43, quanti dolci giorni si passavano con la signorina De Santis, giornate limpide di sole e di caldo dolce, giornate passate col portafiori pieno sulla cattedra e pervase di un profumo strano, forse un tantino malinconico, nel bel stanzone ripieno di salubre aria, di ombra e di sole. La malinconia mi invade… Com’ero felice, felice e “securus”, senza preoccupazioni cioè: facevo il mio dovere, giocavo e godevo la vita. Mi par d’udir ancora le sestine che seguivano le sestine, le rare bravate di Ximmé e le papere di Raggi. Tempi felici, felici, felici, e non so dire altro>>.
Il senso della morte, vicina e ambigua, da temere ma anche da desiderare, è un’altra importante presenza negli scritti del ragazzo: <<Penso alla vita, con tutte le sue amarezze, le sue disillusioni, i suoi disinganni, penso alla guerra, penso alla morte, ed Ella mi viene incontro come il fantasma liberatore di tutte le pene e di tutti i dolori che quaggiù si soffrono. Ha ragione Corrado Alvari “l’uomo è forte”, forte nella più significativa espressione di questa parola, forte, non invincibile. L’uomo, debole, fragile strumento nelle mani di una Natura, – che se a volte è madre, più spesso è matrigna, – sa sopportare pesi morali e materiali, cento, mille volte superiori a sé stesso, sa combattere, per trattenere ancora un poco il soffio vitale che silenziosamente rinnovella le sue disperse energie nelle lotte quotidiane, soffio che vuol fuggire, ancor prima di essersi donato. A Vita, Vita, come sei amara! E noi non ti vogliamo fuggire, vogliamo in te rimanere. Mille volte meglio l’altra, l’oscura morte!>>.
Accanto alla morte, in modo quasi speculare, il desiderio di gloria, cioè che la propria vita lasci un segno importante. Scrive Walter Liverani: <<Ambisco alla gloria, ma non sono un vanitoso. Scrivo perché sento un impellente bisogno di sfogarmi, ma a questa causa se ne unisce un’altra; il grande orgoglio d’una gloria, magari effimera, che possa mettere il mio nome in bocca di tutti, che possa rendermi celebre. Che sarebbe il mondo senza questa ambizione?
Ognuno non si curerebbe di creare qualcosa di migliore e tutti resterebbero nella loro sfera sociale. Tutti donano alla gloria le loro ultime creazioni e dalla gloria ricevono premi e trionfi, i più bei compensi per tutti. Chissà che un giorno non possa anch’io portare fiero, a testa alta, una corona del sempreverde lauro, chissà che il mio sogno non si avveri. Quanto sarai felice, dovessi morire al momento stesso della notizia!!!>>.
L’ultima pagina che Walter ci ha lasciato è scritta a Roncalceci, verso la fine di maggio, pochi giorni prima di quel tragico 5 giugno 1944: <<Passeggiando per la campagna mi giunge alle narici il meraviglioso olezzo della Natura: morbido, tiepido e insinuante di roselline, vigoroso e saluberrimo di pino, odore di alberi e di piante, profumo di fiori e di erbe, dalla cerulea lavanda, all’umile trifoglio.
È la Natura che odora i suoi prodotti, i prodotti di Dio, nella dolce umiltà della pace agreste che ridà vigore, vita ed energia ai miei (poveri) nervi stanchi, così spossati, è la Natura che ci invita al riposo nel silenzio dei suoi ubertosi campi.
S’è ormai perso nell’aria il tenue, delicato ”odor di primavera” ed ha cominciato a spirare il più forte e più caldo ed anche, perché no, più rude, di estate.
La primavera, la dolce stagione dei quindici anni, se n’è andata, per non ritornare più a vederli, a sfiorarli, a profumali, a renderli felici, a farli godere, vivere,… più… mai più…>>.
<<La nostra speranza è che quel “mai più”, con cui Walter chiude il suo ultimo diario,” conclude Antonietta Valentini, “sia invece un “per sempre”. Vivere per sempre, per Walter, per la sua famiglia, per tutte le vittime, di tutte le guerre.
Nella speranza che noi, che siamo venuti dopo, impariamo a scrivere una storia diversa, che sappia rinunciare definitivamente a tutte le forme di guerra e di violenza. Solo in questo modo i tanti Walter della storia potranno finalmente crescere, fiorire e irradiare nel mondo i loro talenti>>.
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