
Il libro della forlivese Nadia Bagnoli sull’eccidio di Pievequinta verrà presentato a Cotignola

Mercoledì 23 aprile 1944, alle ore 20:30, presso la Biblioteca Varoli, corso Sforza 24, Cotignola, verrà presentato il libro “Oltre il mio nome. Storie e memorie di quell’estate” di Nadia Bagnoli con prefazione di Mario Proli e di Gabriele Zelli. Interverranno gli autori.
Nella pubblicazione Nadia Bagnoli ricostruisce la storia dell’eccidio perpetrato per rappresaglia dai nazifascisti il 26 luglio 1944 a Pievequinta di Forlì, quando in seguito all’uccisione di un soldato tedesco vennero fucilati dieci antifascisti e partigiani, fra questi anche Luigi Zoli di Cotignola.
L’autrice ha compiuto un pregevolissimo lavoro, in particolare per ricostruire le storie dei dieci uccisi che insieme a Zoli furono: Don Francesco Babini, Riziero Bartolini, Alfredo Cavina, Antonio Lucchini, Biagio Molina, William Pallanti, Edgardo Ridolfi, Mario Romeo e Antonio Zoli. Alcuni di loro abitavano nel forlivese, altri invece erano vittime di rastrellamenti avvenuti nel territorio di Verghereto e nella valle del Senio.
Nadia Bagnoli dedica il capitolo finale del volume al soldato tedesco, un caporalmaggiore con incarico di portaordini che, per motivi rimasti finora ignoti, fu ucciso in quella tragica giornata di oltre ottanta anni fa.
Luigi Zoli, per tutti Gino, nacque a Cotignola l’11 novembre 1914. Di professione contadino, sposò Novella Minardi e dalla loro unione nacque una figlia, Anna. Per problemi di salute prestò solo per alcuni mesi il servizio di leva negli anni 1934 – 1935, ma fu regolarmente richiamato alle armi nel febbraio 1941. Ricoverato presso l’Ospedale Militare di Bologna, fra degenze e successive licenze di convalescenza, fu definitivamente dimesso e riformato l’11 settembre 1942. Verrà poi ripristinato nei ruoli dell’esercito per la sua partecipazione come partigiano alle attività della Brigata Garibaldi “Mario Gordini” dal 1 marzo 1944 fino alla tragica fine di Zoli.
La Brigata “Gordini”, che operò soprattutto nel territorio ravennate e nel Veneto meridionale, tra Rovigo e Padova, fu organizzata in vari distaccamenti ognuno dei quali presidiò una propria zona d’intervento. La formazione venne impegnata direttamente in quella che tuttora è definita la “Battaglia delle Valli”. In particolare si deve al distaccamento “Garavini”, aggregato alla Popski’s Private Army dell’Ottava armata britannica, il salvataggio della Basilica di Sant’Apollinare in Classe. Seguirono giorni molto difficili di pesanti combattimenti e sanguinosi scontri, spesso senza le armi pesanti necessarie per fronteggiare i tedeschi e senza il supporto degli alleati bloccati a loro volta dall’esercito germanico sul fiume Senio, ma alla fine si arrivò alla liberazione di Ravenna il 4 dicembre 1944.
La Brigata non venne subito sciolta, come in genere accadde agli altri gruppi partigiani, ma fu inquadrata come gruppo autonomo proprio all’interno dell’Ottava armata. Mantenne anche la denominazione e nel gennaio 1945 combatté sulla linea del fronte sulla destra del fiume Reno ai margini delle Valli di Comacchio, distinguendosi per coraggio e audacia tanto che il 4 febbraio 1945 il Generale Richard McCreery decorò il comandante Arrigo Boldrini (Bulow) in piazza a Ravenna con la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Ma a tutto ciò non poté partecipare Luigi Zoli. Infatti mesi prima, esattamente il 12 luglio 1944, come ebbe a raccontare anni fa la moglie Novella in un’intervista rilasciata a Mario Baldini di Cotignola, mentre si trovavano riuniti in casa dei suoi genitori assieme all’amico e vicino di casa Alfredo (Fredo) Francesconi, furono circondati all’improvviso da miliziani fascisti e soldati tedeschi giunti con diversi camion. Tutti quanti, ammutoliti e terrorizzati, furono radunati in una stanza e fatti sedere. Mentre alcuni militi li tenevano bloccati puntandogli contro i mitra, altri perquisivano tutta l’abitazione per trovare indizi dell’appartenenza ai gruppi partigiani. Non trovarono alcunché di compromettente ma caricarono ugualmente a forza sul camion Gino e Fredo. La moglie di Gino volle a tutti i costi salire anche lei sul camion per non abbandonare il marito. Seguì un lungo pellegrinaggio da un comando tedesco all’altro della zona, prima a San Severo poi a Villa Rugata e a Granarolo ed ogni volta venivano interrogati per avere notizie sulle attività partigiane. Dopo ore di terrore tornarono alle loro case con ancora la paura negli occhi ma con la speranza che per un po’ sarebbero stati lasciati in pace. Pia illusione. Il 19 dello stesso mese con la stessa routine di camion urla e mitra puntati addosso furono nuovamente arrestati tutti e tre e riportati a San Severo. Interrogati per ore e ancora rilasciati e riportati a casa, ma solo fino alla mattina successiva quando i due uomini furono di nuovo prelevati dalle loro abitazioni e condotti nel carcere giudiziario a Forlì.
Lo stesso Fredo Francisconi raccontò in una lucida e commovente intervista raccolta sempre da Mario Baldini la cattura e gli ultimi giorni di Gino: “Ci caricarono a viva forza e ci portarono prima a San Severo poi a Villa Rugata e a un certo punto ci fermammo anche in una villa ai piedi delle colline dove caricarono assieme a noi anche un dottore in chimica, un certo Molina, ed infine ci scaricarono a Forlì, prima nella sede del comando delle SS e poi nel carcere civile. C’era tanta gente, persone comuni, preti, perfino un vescovo… ci misero nella stessa cella”.
Francisconi fu poi nuovamente portato al comando delle SS e infine deportato in Germania. In qualità di sarto dal campo di concentramento finì a lavorare in una sartoria di Dresda fino al bombardamento degli Alleati del martedì grasso del febbraio del 1945, che rase al suolo la città, e da cui si salvò per miracolo e successivamente riuscì, fra tante difficoltà, a rientrare in Italia. Fu allora che venne a conoscenza della triste sorte toccata all’amico Gino che per tutti quegli anni aveva creduto uscito dal carcere per riunirsi alla sua famiglia e invece era stato falciato dal mitra tedesco, a 30 anni, ai bordi di una strada di campagna di Pievequinta di Forlì lasciando nel più profondo dolore la giovane moglie e la sua bimba di 4 anni.
Il Comune di Cotignola il 25 aprile 2015, alla presenza della figlia Anna, ha intitolato una piazza del paese a Luigi Zoli.

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