8 Maggio 2025
ezio mauro


Dai problemi della pace e della guerra, alla lotta per la Democrazia e il Lavoro, l’ex direttore e ora editorialista di Repubblica ha spiegato il suo punto di vista a Forlì, a margine dell’assemblea dei quadri e dirigenti di CIA Conad

Nonostante i dazi siano bloccati i venti della guerra commerciale sembrano preoccupare più di quella delle armi… È esagerato?

«I dazi sono bloccati ma sono una minaccia sospesa che incombe su di noi, incombe su tutto il mondo che appare ribaltato rispetto a quello in cui eravamo abituati a vivere. Biden ha usato un’immagine efficace dicendo che «Trump spara prima di prendere la mira» e potremmo anche dire che è come se ci fosse un uomo che guida contromano su Main Street. E infatti l’America è sotto shock, non ha ancora organizzato una reazione mentre il mondo è in difficoltà, Europa compresa. Trump sappiamo che ha lo spirito del negoziatore quindi è molto probabile che abbia usato questa azione di sfondamento iniziale per poi negoziare su livelli più ragionevoli però non c’è dubbio che quella che è cominciata è una vera propria guerra commerciale, che tra l’altro rompe il rapporto tra il mercato e lo stato, questa coppia a cui avevamo affidato il compito di prepararci un futuro sostenibile. Il mercato viene soffocato dai dazi, arbitrari, ideologici e viene soprattutto trasformato in uno strumento della battaglia politica di parte di Trump. Che tutto questo accada in America da parte di quello che dovrebbe essere il difensore della democrazia e anche della democrazia economica; in un paese che ha idealizzato il mercato forse persino esagerando è stupefacente. E ci dà la prova delle contraddizioni in cui viviamo».

Una contraddizione in termini che congiunge il conflitto di mercato ai due conflitti che stiamo vivendo da oltre tre anni in cui assistiamo all’assenza assoluta del governo dell’Europa…

«Beh, Intanto vediamo che nel passaggio dalle parole ai fatti Trump ha dovuto ridimensionare la sua pretesa di risolvere i conflitti nell’arco di poco tempo perché i nodi restano tutti. Quello che preoccupa non è lo sforzo per arrivare a una trattativa, a una tregua, alla pace… Già abbiamo visto che in Medio Oriente la tregua è saltata, i prigionieri israeliani rimangono ancora prigionieri, su Gaza continua a fare sogni da immobiliarista più che da statista e l’intesa con Netanyahu è, mi pare, totale. Il problema è che l’approccio di Trump è un approccio imperialista. Lui punta a trovare un’intesa tra gli imperi i nuovi tre grandi, come a Yalta, allora erano Churchill Roosevelt e Stalin adesso dovrebbero essere la Cina l’America e la Russia.  Una volta trovata un’intesa, le condizioni dell’accordo fissate dai nuovi tre grandi, e, per quanto riguarda l’Ucraina, dal rapporto privilegiato tra Putin e Trump, tutti gli altri “terzi incomodi” si possono soltanto adeguare o arrendere.  Ora, la pace è sempre benedetta ma la pace non è soltanto la fine del conflitto, bensì la fine del conflitto è anche l’inizio di un nuovo ordine. Allora chiediamoci con quale pietra noi costruiamo un nuovo ordine: se con la pietra dell’abuso e del sopruso allora è un problema per noi e per la generazione dei nostri figli, perché entriamo in un mondo dove la forza sostituisce il diritto e saltano tutte le regole in cui abbiamo voluto credere in questo lungo dopoguerra di pace».   

Ottant’anni di pace che Legacoop Romagna  sta celebrando in questi giorni per ribadire che il Movimento Cooperativo è una parte importante dello sviluppo democratico dell’intera Europa, fondato sulla pace e sul diritto internazionale nato a Norimberga. Possiamo – secondo lei – sperare nello sviluppo di questa visione d’Europa così come fu pensata a Ventotene?

«Intanto noi celebriamo gli 80 anni della libertà riconquistata del nostro paese dopo la dittatura fascista e non immaginavamo che saremmo arrivati a questo appuntamento con una presidente del Consiglio che continua a ostinarsi a non dare un giudizio compiuto sulla natura del fascismo. Ha dato naturalmente dei giudizi di condanna – e ci mancherebbe altro – su singoli episodi clamorosi del fascismo ma un giudizio compiuto sulla natura del regime non l’ha dato dicendo, a tutti noi che chiediamo questo atto di responsabilità, che abbiamo la testa rivolta al passato. Non è così! Perché il giudizio sul fascismo è un giudizio sul presente e sul futuro. Perché è un giudizio sulla democrazia. La democrazia oggi non è più universale, ci sono varie interpretazioni della democrazia: da Putin, che ha detto che la democrazia non deve essere liberale quindi ha in mente un modello di democrazia illiberale, a Orban che ha un’idea di democrazia dispotica fino a Trump che delinea una democrazia autoritaria. Qual è il modello di Meloni? Ci deve ancora dire che democrazia ha in mente: è a favore dello stato di diritto? Perché l’occidente, che ha cominciato ad affiorare nei discorsi di Meloni, non è una caserma, non è un’alleanza militare ma è un sistema di valori costruito sulla base dei principi democratici. Il movimento cooperativo ha più di una ragione: ha delle ragioni difensive e delle ragioni di innovazione. Riflettiamo su un punto: il movimento cooperativo è autorganizzazione. È cercare un’organizzazione che entri nella vita delle persone anche fuori dal posto di lavoro, anche fuori dalla fabbrica, nella vita successiva. Questo è il principio ispiratore come atto di partecipazione, come atto di democrazia quotidiana, la democrazia che ci scambiamo senza neanche rendercene conto nelle nostre relazioni. La cultura dell’epoca, invece, sta andando in una direzione diversa e il concetto stesso di libertà sta subendo una trasformazione: non sono più libero perché esprimo le mie facoltà fino in fondo ed esercito i miei diritti compiutamente ma, al contrario, sono libero perché sono liberato da ogni vincolo sociale, da ogni rapporto con gli altri, posso pensare agli affari miei. Questa forma nuova, che chiamiamo libertà per pigrizia mentale, non ha ancora un nome. Io le ho dato il nome di “Ego Libertà” che è quasi una bestemmia. Ecco, quindi, che se vediamo questo scivolamento – che non è lessicale e neanche solo concettuale ma reale – capiamo che il movimento cooperativo è già una forma di resistenza; una forma di libertà che mette in campo un pensiero diverso e una forma di organizzazione diversa per un modello di società diversa».                                                                  

Alessandro Bongarzone

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