“Nonostante questa manovra, se si votasse domani Giorgia Meloni vincerebbe le elezioni”. Lo ha detto Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore, nello scorso fine settimana nel corso di una trasmissione televisiva. In effetti i sondaggi continuano a premiare la presidente del Consiglio nonostante i tre anni di governo abbastanza deludenti.
Il buco nero del governo è il conservatorismo trasformato in muro contro innovazione e concorrenza, ha scritto Claudio Cerasa, direttore del Foglio. Ma è solo una delle tante critiche. In generale l’accusa è di immobilismo che si aggiunge a quella della totale mancanza di rispetto delle promesse elettorali e alla mancata risposta alle difficoltà degli italiani. Eppure la fiducia in Giorgia Meloni non è scalfita.m
Sul perché oggo Marco Gervasoni, da una risposta su Huffingtonpost. In estrema sintesi, lo storico sostiene che Giorgia Meloni incarna una destra fondata sulla retorica, sull’immobilismo, sulla furbizia spicciola, sull’individualismo della “roba”, dell’anti-antifascismo, totalmente estranea ai concetti di diritto e libertà. E gli italiani, in buona maggioranza, sono esattamente così. E, viene da dire: Gervasoni ha ragione.
Però il problema esiste. Se Orsini, presidente di Confindustria, parla di “crescita anemica” non si può far finta di niente. Come non deve passare inosservato un altro dato fornito dall’Ufficio Studi di Confindustria: senza il Pnrr l’Italia sarebbe in recessione. E, dopo tre anni di governo e altrettante leggi di bilancio, non si possono scaricare le colpe sulle gestioni precedenti.
La sensazione è che fino ad ora si sia pensato solo a far quadrare i conti per tenere calmi i mercati finanziari. Premesso che la gestione oculata del bilancio è un pregio, ma da sola non può bastare. Assieme ai conti in regola serve una strategia. Quella visione di prospettiva che è fondamentale quando si governa. Soprattutto quando si dispone, cosa rara per l’Italia, di una maggioranza fortissima. Invece andare avanti a colpi di retorica, immobilismo e furbizia spicciola aiuta a consolidare i propri voti, non un Paese che ha un eccessivo bisogno di cambiare volto attraverso una politica di sviluppo che porti a una crescita non più anemica.
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