Keynesiano, riformista e innovatore ma con piccoli passi e aperto al dialogo
Cosa ne pensi dei politici? Spesso mi è stata fatta questa domanda da persone che sapevano che ero un giornalista. Tutti, o parecchi di loro, si aspettavano che vomitassi insulti nei confronti dei politici. Non l’ho mai fatto. Tendenzialmente perché non è giusto puntare sempre l’indice accusatore contro di loro. Se c’è un sistema che non funziona non è detto che siano loro i colpevoli. O perlomeno non tutti. Non è poi assolutamente vero che sono tutti ladri, approfittatori e incapaci. Come in tutte le categorie ci sono i ladri e gli onesti, i bravi e i meno bravi, gli approfittatori e quelli che non guardano al loro interesse.
Inoltre ho sempre avuto a che fare quasi solo con politici locali. Che sono tutta un’altra cosa. Un’altra categoria. La stragrande maggioranza non prende un soldo. E chi è pagato (sindaco e assessori) ha stipendi che non sono assolutamente adeguati all’impegno e ai rischi. In pratica sono spinti dalla passione della politica. Per qualcuno, magari, c’è anche la voglia di potere. Comunque, se anche così fosse il peccato sarebbe talmente veniale che non mi sentirei di censurarlo. Inoltre non sono tra quelli che ritengono che il politico debba essere un cavaliere senza macchia e senza peccato. Suvvia. È una persona come un’altra con pregi e difetti. In tutto e per tutto. Ho visto, è vero, molte persone che ritengo sopravvalutate. Alla lunga poi sono finite ai margini. Ma in politica la selezione naturale ha tempi forse un po’ troppo lunghi. Sono diversi i difetti che ho riscontrato, ma sono due quelli più evidenti: autoreferenzialità e mancanza di concretezza. Problemi sia della maggioranza che dell’opposizione.
Poi, ognuno di noi, vorrebbe che un politico rispondesse a determinate caratteristiche. E che fosse a sua immagine e somiglianza. È però difficile poter avere tutto. A un certo punto bisogna anche accontentarsi.
Anch’io, come tutti, ho un identikit del mio politico ideale. Ho una cultura e dei valori di centrosinistra. Quelli, inevitabilmente, ispirano le mie scelte. Ma ci deve essere innanzitutto una buona dose di concretezza. Come diceva Denis Ugolini ci sono cose che non sono né di destra e nemmeno di sinistra. Le prime volte che noi diceva ero scettico. Poi mi sono reso conto che aveva ragione. L’obiettivo di un politico deve essere quello di creare ricchezza e distribuirla nel modo più equo possibile. Per riuscirci non c’è una sola ricetta. Ognuno ha la sua. Per prima cosa io sono (quindi lo dovrebbe essere anche il mio politico ideale) un keynesiano convinto e un riformista/innovatore dei piccoli passi. Nel senso che ritengo che nella pubblica amministrazione (a tutti i livelli) il cambiamento debba essere continuo, ma senza traumi. In modo da potersi adeguare allo sviluppo senza creare grosse fratture col passato. L’ideale sarebbe non subire le trasformazioni, ma anticiparle e, quindi governarle. Sul fronte della spesa, essendo keynesiano, non posso essere favorevole agli attuali vincoli decisi dall’Unione Europea. Questo non significa che l’amministratore pubblico di turno debba poter aprire il portafoglio a fisarmonica. Serve quella dose di buonsenso che è sempre necessaria. Però, in particolare nei momenti di crisi, gli investimenti pubblici sono fondamentali.
Sono una persona portata al dialogo e non vorrei che il mio rappresentante salisse sull’Aventino. Non l’ho mai fatto. Né quando ero sindacalista interno (primissimi anni Novanta) e ci era stato presentato un pesantissimo piano di tagli e neppure quando ero andato in minoranza nell’azienda (Corriere Romagna) che ho fondato assieme ad altre tre persone. Ho sempre tenuto aperto il canale del dialogo e poco importa quello che ho ottenuto. Spesso poco o niente. Confrontarsi per molti significa inciuciare. Per me non è così. Ognuno deve restare fermo sulla propria posizione portandola avanti con determinazione sperando anche di modificare, almeno in parte, il provvedimento. Comunque non si può uscire dal tavolo anche per non permettere alla controparte di poter sostenere che tutto è rimasto come era anche perché è stato rifiutato il confronto.
Nell’economia infine sono favorevole a qualche forma di intervento pubblico (normata in maniera rigida), ma no all’assistenzialismo. Nel senso che interventi per settori improduttivi eventualmente possono essere una tantum.
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