L’8 marzo non è un giorno come tanti, oggi si festeggiano le donne, in tutte le loro magnifiche sfaccettature, seguendo la scia del profumo buono della mimosa, il fiore simbolo di questa giornata. Il sole, che ha deciso di onorarci della sua presenza, dopo lunghe giornate di pioggia e freddo, sembra cadere giusto giusto per decorare il cielo di festa. Eppure, da donna, continuo a essere convinta che le persone ad essere più felici di tutti per l’arrivo dell’8 marzo, siano solo i fiorai, così come a San Valentino.
La mimosa, per quanto splendida, non aiuta nei lavori di casa, non porta i figli in palestra e non li aiuta a fare i compiti, esse rimane un simbolo, ma c’è bisogno di ben altro nell’universo femminile.
Tale festa, già solo con la sua esistenza, contribuisce a porre il gentil sesso su un piano differente, in un mondo nel quale ci pensa già la busta paga a farti sentire diversa. Non occorre aggrapparsi alla retorica delle lavoratrici di fabbrica morte in un incendio, o qualsiasi storia di donne si voglia raccontare. Non serve andare a scavare nel passato per dire che la festa delle donne è qualcosa di estremamente legato al consumismo e a una carenza di diritti che non consentono di vivere la vita nel medesimo modo in cui vive l’altro sesso.
“La festa delle donne non è solo l’8 marzo”, quindi, perché intitolarci un giorno? Per non parlare della cultura macista italiana, i cui maggiori esempi negativi si possono attingere dal mondo della politica, che invece dovrebbe prefiggersi di proteggere e tutelare le lavoratrici di questo paese. Non si può pensare che esista una festa dedicata alle donne in un mondo in cui queste ultime convivono con la paura di perdere il posto di lavoro solo perché desiderose di avere un figlio, cosa che rende la maternità un momento di insicurezza anziché di serenità.
Spesso si dà per scontato che casa sia pulita perché qualcuno ha fatto si che essa lo fosse. Non si dà peso all’assenza di piatti in un lavello e al fatto che la cena sia già pronta, al massimo deve essere scaldata. Nonostante tutto ciò, c’è chi alza la mano dicendo che se è vero che le donne vogliono la parità dei sessi a tutti gli effetti, allora devono andare in pensione con gli stessi numeri degli uomini. Certo, ma allora bisogna smettere di festeggiare la festa della donna e cominciare invece a rimboccarsi le maniche per far si che tutto sia diviso equamente, dalle mansioni di casa, alla gestione dei figli. Eppure, anche riuscendo a scavalcare questo complesso gradino culturale, si tende sempre a sottovalutare la difficoltà di portare in grembo per nove mesi una creatura, un’esperienza bellissima, ma stressante, complicata e difficile da spiegare, soprattutto a chi non può viverla e parla per sentito dire.
La parità è la non festa delle donne, perché solo quando i due sessi riusciranno a guardarsi negli occhi da pari a pari ci potrà essere una piena comprensione. La parità parte dalla volontà di mettersi sullo stesso piano, dal rispetto per ogni momento della vita condivisa e dai gesti quotidiani che messi in fila fanno la differenza. Un fiore, per quanto splendido, rimane tale, sebbene filosoficamente molto coerente, dato che per essere mantenuto in vita, esso ha bisogno di cure giornaliere, piccole e a volte invisibili, ma costanti.
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