È fondamentale investire nell'istruzione di ogni ordine e grado. Il primo obiettivo deve essere non lasciare indietro nessuno
Il taglio delle rette delle scuole materne per Cesena è l’atto amministrativo più importante del 2019. Una scelta politica importante che però è stata accompagnata da polemiche. Più condivisibili quelle sull’universalità dell’intervento, meno quelle sulle multe. Argomento che si presta alla polemica politica, ma che è un escamotage contabile. Lo ammette anche Franco Pedrelli, non certo un lattughiano, quando, nell’ultimo numero di “Energie nuove” scrive: qualche escamotage di bilancio occorreva escogitarlo, la forma comunicativa non è stata delle migliori, se poi il “gatto” sarà difficile ricondurlo al “sacco”, beh che sarà mai, ci sono le variazioni al bilancio, l’ultima recente del bilancio corrente di importo superiore alle cifre di cui abbiamo parlato.
Aldilà di tutto però la scelta va nella giusta direzione perché manda un segnale forte: bisogna investire nella scuola. A partire da quella materna. L’obiettivo primario deve essere non lasciare indietro nessuno. I bambini che fanno parte di famiglie in difficoltà devono avere le opportunità di crescita di tutti gli altri. Il rischio è di avere un numero alto di bambini che non riusciranno a studiare e questo sarebbe un grosso impoverimento per la città, anche in considerazione del fatto che il numero è alto.
Concetti che scrivevo quattro anni fa e che sono contenuti nel mio libro “Vent’anni a Cesena”, ma che sono ancora attualissimi. Anzi, l’importanza di investire sull’istruzione oltre ad essere un tema di fondamentale importanza è diventato di stretta attualità dopo le dimissioni del ministro dell’Istruzione. Ma è da tempo (troppo) che è accesa la spia dell’allarme rosso.
A gennaio 2019, il World Economic Forum ha pubblicato una ricerca che dimostrava come spendendo nell’istruzione superiore e costruendo università, il prodotto interno lordo della regione dell’investimento cresca in modo quasi straordinario. È risultato che se si raddoppia il numero di atenei in una regione, il Pil arriva a crescere del 4,7 per cento nel giro di cinque anni e che l’effetto non rimane limitato ai confini di quell’area.
Come rileva l’Osservatorio conti pubblici di Carlo Cottarelli, nel 2017, in Italia, la spesa per la pubblica istruzione è stata di 66,1 miliardi di euro, di cui 25,1 miliardi per l’istruzione primaria (prescolastica e elementare), 30,4 miliardi per quella secondaria (scuole medie, scuole superiori e istruzione post-secondaria non-terziaria), 5,5 miliardi per quella terziaria (università) e i restanti 5,1 miliardi per servizi sussidiari e altre categorie residuali.
Quindi, l’Italia è stata l’unico paese dell’Ue in cui la spesa per interessi sul debito pubblico ha superato quella per l’istruzione. In termini percentuali, la spesa si è fermata al 3,8% del Pil a fronte di una media europea al 4,6%: peggio hanno fatto solo Bulgaria, Irlanda e Romania. Le cose, però peggiorano, se si considera la spesa pubblica per istruzione in percentuale di spesa pubblica totale: l’Italia è all’ultimo posto in Europa con solo il 7,9 per cento a fronte di una media europea del 10,2. Il risultato è che i laureati in Italia sono molti meno che nel resto d’Europa. E le cose sono destinate a peggiorare con il passare degli anni. Quando lo capiremo?
Questo post è stato letto 188 volte