Strano incontro in Albania per Jacopo Rinaldini
CESENA. Per noi l’Ape è la Piaggio. In Albania no. La storica tre ruote arriva anche dalla Cina. Lo ha scoperto e immortalato Jacopo Rinaldini in uno dei suoi consueti viaggi in Albania.
Fushë-Krujë ricorda una città di frontiera, un passaggio obbligato attraverso un lungo corridoio di negozi di strumenti elettronici, di pasticcerie e d’abiti da sposa. Il colore dominante degli edifici è il rosa: un piccolo mondo talmente stravagante che non può non rimanere impresso nell’immaginario del viaggiatore che vi giunge.
Si avverte una frenesia quasi elettrica che permea l’atmosfera: la cittadina si sta ampliando e i terreni attorno ad essa paiono una enorme forma di groviera a causa dei numerosissimi cantieri in cui si celebra una sorta di rito pagano, dal momento che sull’altare di una pretesa crescita economica si stanno sacrificando campagne e aree verdi.
Ciononostante, è proprio grazie ad uno di questi cantieri, in cui uomini operosi prestano la loro forza lavoro, che ho fatto la conoscenza di uno straordinario personaggio meccanico di Fushë-Krujë: lo Shifeng, un cinese d’Albania.
Tra scoppiettii, ruggine e sguardi benevoli attraverso fari ingialliti mi ha degnato del suo benvenuto.
Quel muso indecifrabile, quasi umano, ha sottratto un frammento del mio cuore tanto da diventare soggetto privilegiato di fotografie, bozzetti e riflessioni.
Lo Shifeng viene prodotto nello Shandong dall’omonima multinazionale “Shandong Group”, eppure mastica il dialetto locale con spiazzante facilità.
Da queste parti si fa chiamare “Dumdum”. Tale soprannome altro non è che una forma onomatopeica: ogni mezzo a tre ruote viene appellato in tal guisa a causa della peculiare cacofonia emessa dal minuto motore tre o due cilindri, il quale urla inferocito sotto al peso della gran mole di lavoro a cui i “Dumdum” vengono sottoposti.
Ci guardiamo diritti nei fari: non so come e non so per quale ragione, ma riesco a tradurre i versi animaleschi del motore: mi narra di Mao, della storia contemporanea del “Celeste Impero”, della emancipazione delle masse contadine, della “Lunga Marcia”, dei “Cento Fiori” (百花运动) e di quel pesante mattone, mai digerito dalla storia, che prende il nome di “Grande balzo in Avanti” (大跃进): del resto, la casa madre dello Shifeng è figlia di quel periodo e i suoi lamierati portano tuttora il vecchio profumo rassicurante dell’ideologia.
Sembra che rida di tutti, me compreso: turista fermo sulla soglia di una pasticceria che l’osserva sbalordito. Corre su e giù per la via con il cassone carico di quintali di sabbia, sassi e attrezzi.
A Fushë Krujë sento un vento cinese (cosa normale nel paese più “cinesizzato” d’Europa, visti anche gli accordi economici ratificati di recente) e mi pare di poter abbracciare quella amica antica con cui non ho mai fatto i conti: io amo ancora la Cina, ma la Cina ama me?
Penso, rifletto e fisso le ruote consunte dallo scorrere del tempo dello Shifeng: girando, irradiano verso il mondo circostante la medesima luce del sol dell’avvenire.
La sosta è finita, è tempo di riprendere il cammino: caro il mio rivoluzionario meccanizzato, ti parcheggio nello scrigno dei ricordi più preziosi.
Nel silenzio ironico che mi son costruito, sussurro in albanese “shihemi me vone” (arrivederci in italiano), in cinese “回头见”.
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