"Malattia" professionale legata all’esercizio del comando
CESENA. Per Ugo Magri, giornalista di Huffingtonpost, è la sindrome da palazzo Chigi. In realtà si tratta di una sorta di delirio di onnipotenza che non colpisce solo i presidenti del Consiglio e neppure solo i politici. E’ una malattia professionale legata all’esercizio del comando, al delirio di onnipotenza che ne deriva e, volendo nobilitarla, al carico spaventoso di responsabilità sulle spalle di uno solo; per cui strada facendo viene smarrito il senso delle proporzioni e al suo posto si sviluppa un concetto esagerato del proprio ego, fino al punto di considerarsi indispensabili, insostituibili ma non solo.
Se ne comincia a soffrire quando inizia ad esserci l’illusione di essere l’ombelico del mondo. Restando alla politica, secondo Magri, la “malattia” te la trasmette la finta familiarità che si instaura nei summit internazionali, cara Angela e carissimo Donald, un po’ come entrare in un olimpo di vip planetari dove simpatie e capricci si mescolano con gli intrighi di Stato. Il senso di appartenere a un club esclusivo si corrobora in virtù di certi privilegi, all’apparenza meschini, col risultato che in breve tempo ti scordi di essere stato un signor nessuno. Ma questa forma di ubriacatura può colpire anche a livelli inferiori. Quello di avere l’illusione di essere l’ombelico del mondo è un rischio che corrono in parecchi, paradossalmente ne può essere vittima anche un presidente di Quartiere. Per quello forse sarebbe più giusto parlare di delirio di onnipotenza che è l’altra faccia della libidine del potere.
Ed è un guaio. Perché chi soffre di delirio di onnipotenza rischia di diventare un uomo solo al comando, una persona che al massimo si circonda di un numero ristretto di persone. Un leader che si erge a paladino del fare, del lavorare, del rimboccarsi le maniche contro i “gufi” che remano contro, o ti infilano i bastoni tra le ruote. In realtà si isola. Col passare del tempo il cerchio dei fedelissimi si restringe con l’espulsione dei più tiepidi e della squadra restano a far parte i più fedeli, non i più bravi. L’esatto contrario delle scelte che dovrebbe fare un vero leader. Non sarebbe niente se non ci fossero ripercussioni sul lavoro che invece sono inevitabili. Perché, per quanto bravo e preparato, nessun solista può sopperire a un lavoro di squadra.
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