Sesta tappa dell'itinerario sulle tracce di Dante a Forlì di Marco Viroli e Gabriele Zelli
Alla destra dell’Abbazia s’innalza il campanile di tipo lombardo, isolato rispetto alla struttura dell’edificio. Completato nel 1180 su disegno di Francesco Deddi (XII secolo), fu realizzato da mastro Aliotto, come riporta una piccola lapide in latino, posta sul lato della piazza.
Proviamo a immaginare al grande stupore che, nell’Alto Medioevo e ai tempi di Dante, alla visione anche dalla distanza del campanile doveva cogliere chi giungeva a Forlì. Una costruzione possente che ben rappresentava l’importanza e la ricchezza della Congregazione Vallombrosana, la comunità di monaci benedettini fondata da San Giovanni Gualberto (985 – 1073) nel 1039.
La pianta è di forma quadrata e il dado in pietra, su cui si eleva l’intera costruzione, misura 9,20 metri di lato. La struttura si restringe gradualmente verso la vetta e a circa 50 metri da terra la sezione ha un lato di 75 centimetri in meno rispetto alla base. È probabile che tale restringimento sia stato imposto da conoscenze empiriche, unite al bisogno strutturale di alleggerire la massa muraria con il procedere dell’altezza. La sua misurazione è sempre stata oggetto di discussioni per via del fatto che la pavimentazione, nelle diverse epoche storiche, ha subito continue modifiche e rimaneggiamenti. Si è deciso infine di attribuire alla base, il cosiddetto dado, lo spessore di un metro. L’altezza ufficiale del campanile risulta perciò fissata in 72,40 metri.
Le facciate sono affinate da aperture a finestra, dall’alto verso il basso: una quadrifora, una trifora, una bifora, una monofora e, solo sul lato piazza, di nuovo una bifora.
In sommità il campanile è sormontato da un’alta guglia in mattoni, di forma conica, con coronamento in pietra, arricchita inoltre da globo, banderuola e croce, per un’altezza totale di 22,40 metri. La guglia è circondata da quattro torricini, posti ai vertici del quadrato di base, tema alquanto ricorrente nei campanili romagnoli. Gli attuali torricini angolari pare risalgano al grande restauro del 1566 e si pensa che andassero a sostituire gli originali di dimensioni e forma diverse che, con ogni probabilità, erano stati danneggiati da fulmini o terremoti.
Nell’ampia cella posta in sommità trovano posto cinque grosse campane (quattro storiche e una più piccola, risalente al 1984). Furono ricollocate nel castello in ferro realizzato nel 1967 dopo la demolizione del precedente castello in legno che aveva causato grossi problemi alla stabilità della struttura essendo ancorato direttamente ai muri del campanile.
Il Campanile di San Mercuriale è servito da modello per molte opere analoghe posteriori, non solo in Romagna. Nel 1902 lo studiarono i tecnici veneziani impegnati nella ricostruzione del Campanile di San Marco di Venezia, che era crollato in una nube di polvere il 14 luglio di quello stesso anno.
A destra dell’accesso al campanile una lapide celebra il passaggio a Forlì di Antonio da Padova, uno dei più importanti santi della Chiesa cattolica:IL 23 SETTEMBRE 1222 / NON LUNGI DA QUESTO CAMPANILE / SANT’ANTONIO DA PADOVA / FRA L’AMMIRATO STUPORE DEI CONFRATELLI / A FORLÌ CONVENUTI PER LE SACRE ORDINAZIONI / si rivela ALLA CITTÀ E AL MONDO / CON SOMMA SAPIENZA TEOLOGICA E INEFFABILI DONI SOPRANNATURALI / ONDE LA CHIESA E IL POPOLO DA SECOLI / NE INVOCANO LA CELESTE PROTEZIONE / FORLÌ 10 SETTEMBRE 1995
Non è chiaro dove, la sera del 23 settembre 1222, alla vigilia dell’ordinazione di alcuni frati, Antonio da Padova (1195 – 1231) tenne il suo primo discorso, in cui rivelò straordinaria fede ed eccezionale eloquenza. È probabile che ciò sia avvenuto prima di cena e forse all’aperto, poiché San Francesco Grande fu costruita in seguito, nel 1266, e che difficilmente un piccolo refettorio di frati francescani avrebbe potuto contenere i tanti convenuti. Il santo parlò, infatti, ai numerosi membri della comunità forlivese, ai francescani e ai domenicani giunti in città per essere ammessi agli ordini, ai loro accompagnatori e agli altri religiosi già presenti in vista dell’imminente celebrazione del Capitolo provinciale.
Il discorso di Antonio, secondo diversi studiosi [tra cui il compianto don Gian Michele Fusconi, (1934 – 1996)], iniziò con estrema semplicità e si sviluppò abbastanza a lungo, in un crescendo che provocò generale stupore, tale da far dichiarare ai presenti di non avere mai udito nulla di paragonabile per ardore dei toni, profondità dei contenuti e capacità di sintesi.
Scrive Fusconi: <<Il santo ottenne la più viva, generale attenzione, suscitando sentita ammirazione e santa consolazione, e fece nascere nel cuore di tutti, nei suoi confronti, gratitudine e venerazione: in lui, infatti, si vedevano congiunti il dono di una profonda sapienza e il merito di un’autentica umiltà>>.
Annesso alla chiesa è il quattrocentesco Chiostro dei Vallombrosani. Originariamente chiuso come ogni chiostro che si rispetti, tra il 1939 e il 1941, su progetto dell’architetto romano Gustavo Giovannoni (1873 – 1947), con l’abbattimento delle mura che lo contenevano, fu trasformato in luogo di passaggio per favorire il collegamento diretto con la piazza retrostante, ove sarebbe sorto il nuovo Palazzo di Giustizia. Il pozzo centrale con vera, risalente al XVII secolo, dopo il restauro fu ricollocato nella posizione originaria.
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