Fu incaricato di seguire un modesto romitorio con sei frati
Nel momento in cui molti sono protesi a celebrare il 700° anniversario della morte di Dante Alighieri, mentre altri latitano o propongono itinerari falsi sulle tracce del Sommo Poeta in Romagna, occorre ricordare che ottocento anni fa, precisamente nel giugno del 1221, giunse nel nostro territorio Fernando Martines del Bulhàes (il futuro Sant”Antonio), nato a Lisbona il 5 agosto 1195. Inizialmente monaco agostiniano, poi dal 1220 frate francescano, Fernando Martines viaggiò molto vivendo prima in Portogallo, poi in Italia e in Francia. Venerato dalla chiesa cattolica, venne canonizzato nel 1232 ad appena un anno dalla morte e proclamato Dottore della Chiesa nel 1946. Quando nacque era tempo di crociate in difesa della fede cristiana e ogni rampollo di famiglia nobile desiderava impugnare le armi e porre il proprio coraggio al servizio dei valori della Chiesa. Le crociate difatti furono una serie di guerre combattute nel corso del XII e XIII secolo e più precisamente dal 1101, data d’inizio della prima, al 1272, con la conclusione dell’ottava o della nona, a seconda degli storici. Gli eserciti che i crociati fronteggiarono principalmente in Asia minore e nelle zone del mediterraneo orientale, durante questi conflitti furono quelli mussulmani. Tutte queste guerre vennero benedette, spesso invocate dal papato e apparentemente motivate da un sentimento religioso che intendeva liberare dall’occupazione mussulmana la terra dove nacque, predicò e morì Gesù Cristo. Però non si trattò propriamente di “guerre di religione” poiché lo scopo non fu mai quello di far convertire i mussulmani al cristianesimo, nemmeno dopo le avvenute conquiste. Quello che indignò profondamente la Chiesa e tutta l’Europa dell’epoca furono le denunce delle violenze cui venivano sottoposti, dalle autorità mussulmane del posto, i pellegrini cristiani diretti in Terrasanta. Ciò venne considerato inaccettabile dall’intera Cristianità: ai pellegrini andavano garantite la vita e la sicurezza. Dunque le crociate ebbero in realtà moventi politico-economici che germinavano all’interno del mondo feudale medievale europeo e bizantino e come concreto obbiettivo il controllo della Terrasanta e la completa sconfitta dei musulmani del luogo.
Tuttavia l’aristocratico Fernando de Bulhòes, formandosi intellettualmente nella scuola della Cattedrale di Lisbona dal 1202 al 1210, preferì alla spada e alla violenza, preghiere e verità. Nel 1210 entrò in un monastero agostiniano nei pressi di Lisbona, due anni dopo chiese il trasferimento a Coimbra per evitare le tanto frequenti visite dei parenti e qui rimase circa otto anni, dal momento che la struttura era dotata di una grande biblioteca in cui il giovane poté impegnarsi assiduamente nello studio teologico, arrivando così a gettare le basi per la sua notoria e vasta cultura.
Entrò nell’ordine del Santo d’Assisi (Francesco d’Assisi, nato Giovanni di Pietro di Bernardone 1181/82 – 1226) nel settembre del 1220, cambiò il suo nome di battesimo in Antonio e partì come missionario in Marocco. Giunto in Africa contrasse probabilmente una malattia tropicale che gli impedì di fermarsi poco più di qualche mese. Ripartì alla volta della Spagna, ma una tempesta e il conseguente naufragio della sua imbarcazione, lo fecero approdare in Sicilia. Da qui, dopo essere stato curato e guarito, decise di risalire la penisola a piedi per partecipare al Capitolo delle Stuoie che si tenne nel maggio 1221 ad Assisi, cui accorsero circa 5000 frati. Il raduno era stato voluto da Francesco d’Assisi in quanto si doveva discutere il testo di una Regola da sottoporre all’approvazione della Curia romana, la Regola, conosciuta come “non bollata” approvata dal Capitolo venne inizialmente respinta, sottoposta poi a revisione, venne definitivamente accettata nel 1223 da Papa Onorio III (1150 – 1227).
Quando ormai il Capitolo si era concluso e tutti i frati facevano ritorno ai loro luoghi di provenienza, Antonio venne notato per la sua straordinaria umiltà e spiritualità e venne assegnato ad un piccolo romitorio, quello di Montepaolo di Dovadola, dove già vivevano sei frati. Qui si recò per celebrare la Messa per i suoi confratelli non sacerdoti. Vi giunse nel giugno 1221 vi rimase per più di un anno, fino al settembre 1222. Nella solitudine dell’eremo, visse una straordinaria esperienza di preghiera, penitenza e contemplazione.
I confratelli non si resero subito conto delle capacità e della profonda cultura biblica di frate Antonio, ma questa poté emergere nel corso delle sue prediche ai frati e fu così che essi suggerirono che, in occasione di un’ordinazione sacerdotale tenutasi a Forlì, fosse proprio Antonio a introdurre il rito con una predica appropriata, dal momento che il sacerdote che se ne sarebbe dovuto occupare non si presentò. Il provinciale dei frati francescani, Fra Graziano, saputo della predica e della grande partecipazione ed ammirazione che aveva suscitato, assegnò ad Antonio l’incarico di predicare. Durante la sua missione fu sempre invocato come potente intercessore presso Dio, il quale gli concedeva di operare numerosi prodigi e miracoli, fra cui l’apparizione di Gesù bambino fra le sue braccia, mentre si trovava raccolto in preghiera in una stanza appartata, nella dimora del Conte Tiso a Camposampiero (maggio/giugno 1231). Qualche giorno dopo, colto da un malore chiese di essere riportato a Padova, nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini, che gli era tanto cara. Non era ancora giunto in città che affetto da idropisia, asma e forse anche da sintomi di cardiopatia, morì il 13 giugno 1231 all’età di soli 36 anni.
Ancora oggi sono milioni le persone che visitano annualmente la sua tomba nella Basilica di Padova in segno di profonda venerazione per questo grande frate francescano.
Sant’Antonio oltre ad essere santo patrono di numerosissime città italiane, lo è anche del Portogallo, del Brasile, della città di Beaumont in Texas ed infine è anche patrono della Custodia di Terra Santa.
L’eremo e il Santuario di Sant’Antonio a Montepaolo: luogo antoniano d’eccellenza
L’eremo e il Santuario di Sant’Antonio si trovano sulla sommità di Montepaolo di Dovadola. In una zona attigua, sul pendio che guarda verso la valle del Samoggia che unisce Modigliana con Faenza, fra il 1221 e il 1222 visse per una quindicina di mesi, presso un modesto romitorio, padre Antonio per poi rivelarsi a Forlì, nel settembre 1222, per sapienza, cultura teologica e grande capacità oratoria, tanto che inizialmente venne conosciuto come Antonio da Forlì.
Padre Antonio potrebbe essere tornato a Montepaolo sei anni dopo per chiudere il romitorio che si trovava in condizioni precarie e trasferire i confratelli, molto probabilmente a Castrocaro.
Nel 1629 il nobile Giacomo Paganelli di Castrocaro fece costruire sullo stesso posto dove si trovava il romitorio una cappella in onore del santo, come ex voto per una grazia ricevuta. Nel 1790, per volere di due gesuiti, in un momento in cui il loro ordine era stato soppresso, Andrea Michelini (1733 – 1814) di Bologna, in quel periodo residente a Forlì, ed Emmanuele De Azevedo di Coimbra (autore del libro “Vita del Taumaturgo Portoghese Sant’Antonio da Padova”, edito a Bologna nel 1790), fu ampliata la cappella, mentre a fianco venne costruita una canonica. Verso la fine dell’Ottocento un movimento franoso di grandi dimensioni rase letteralmente al suolo tutto ciò che ricordava la presenza di Sant’Antonio a Montepaolo. Si decise allora di costruire un nuovo santuario sulla sommità della collina, che fu consacrato nel 1913, e di spostare la grotta del santo nel luogo dove si trova tuttora.
Nel 1995 divenne rettore del Santuario padre Ernesto Caroli, uno straordinario frate francescano che sotto l’aspetto umile, mite, gentile e affabile nascondeva una cultura notevole e una capacità di coinvolgimento incredibili. A lui, di cui parlerò in un prossimo testo, si deve, fra l’altro, la presenza di una reliquia del Santo conservata all’interno della chiesa di Montepaolo.
Gabriele Zelli
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